Shuggie stazionava il più lontano possibile dal pallone. Quando questo saettava da una parte all’altra del cortile, fingeva di corrergli incontro ma facendo sempre in modo che gli altri ragazzini lo battessero sul tempo. Gli piaceva di più starsene all’ombra del palo della porta a guardare le femmine che giocavano con l’elastico, le migliori di loro che saltellavano leggiadre lungo i due tratti di corda multicolore.

All’improvviso, un’esplosione viscida nell’orecchio sinistro. Il pallone lo aveva colto impreparato centrandolo sul lato della faccia. Bruciava come uno schiaffo a mano aperta. Il pallone rotolò verso i piedi degli avversari che lo spedirono in gol.

Francis McAvennie andrò da Shuggie. Essendo il maggiore dei McAvennie, il fattaccio tra Colleen e Big Jamesy aveva avuto su di lui le ripercussioni maggiori; la promozione a “uomo di casa” era stata immediata e Francis si era ritrovato a badare ai fratelli e alle sorelle mentre Colleen si stordiva di pillole azzurre di Bridie. Gli si avvicinò con la faccia quanto più gli era possibile, talmente vicino che Shuggie sentiva sulla pelle gli schizzi caldi della sua saliva. “Porca di una troia. La vuoi smettere di fare il frocetto?” Gli altri ragazzini si radunarono tutto intorno come pitbull, con la brama negli occhi.

«Vuoi essere una femmina?» Francis sorrise, allargando le braccia in modo plateale. Shuggie fece cenno di no; voleva solo portarsi la mano sulla guancia indolenzita. « Preferiresti andartene in giro con la gonna?»

«No» farfugliò Shuggie.

«Non rispondermi, finocchio.» Francis, trenta centimetri buoni più alto di lui, gli diede uno spintone in pieno petto.

«Sei un finocchio frocetto. Tu e padre Barry brucerete all’inferno per le cose che fate.»

Si levò un coro di risolini, poi le risa si trasformarono in un ritmico coro di “picchialo, picchialo, picchialo”. Francis alzò la mano sinistra come per assestarli uno schiaffo sulla guancia indolenzita.

Recensione di "Storia di Shuggie Bain", #Non potrò mai abbandonarti, perché sei mia madre

In una Glasgow martoriata dalla disoccupazione, agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso, Hugh, da tutti chiamato Shuggie vive con la madre Agnes, la sorella Chaterine, Leek il padre biologico e Shug nella casa dei nonni.

Agnes ha lasciato il primo marito e si è rispostata con Shug credendo che finalmente avrebbe potuto vivere un’esistenza degna di ciò che si merita.

Ben presto Agnes scopre che Shug non è l’uomo che le potrà far vivere la vita che ha sempre sognato. Inizia a rifugiarsi nell’alcool ogni volta che lui non torna a casa o che chiaramente ha trascorso parte del tempo con un’altra donna.

Stanco di vivere a casa dei suoceri Shug promette ad Agnes una casa tutta loro. A trasloco avvenuto Shug invece l’abbandona con i suoi figli in un sobborgo di estrema periferia in un quartiere abitato da ex minatori a ridosso di una vecchia miniera abbandonata.

Agnes è bella, elegante, sempre curata a differenza delle moglie dei minatori. Il posto dove è finita a vivere la farà piombare ancora di più nell’insoddisfazione e sempre più alla dipendenza dall’alcool.

Chatrine sceglierà l’egoismo come unica salvezza di una discesa verso gli inferi dalle quali non ci potrà essere possibilità di risalita.

Leek rinuncerà al suo sogno di frequentare l’accademia delle belle arti, malgrado un brillante talento per il disegno, e troverà lavoro presso un cantiere come tuttofare.

Shuggie, non riuscirà ad integrarsi con i bambini del posto perché “diverso”, un bambino dalle buone maniere, ben educato, che parla come un principino e perché gay.

Sarà Shuggie a prendersi cura della madre, a starle accanto quando brutte esperienze le capiteranno. Un bambino dalle qualità speciali che sa cosa significa la fame, la solitudine, la paura, la delusione. Ma non per questo si imbruttirà anzi sarà di aiuto a chi come lui si troverà a vivere la sua stessa situazione.

Uno spaccato tra le ceneri di Angela ed un albero cresce a Brooklyn