Dopo  il successo di Sacro Gra, Gianfranco Rosi approda a Lampedusa, piccola capitale della crisi del nuovo mondo, per immortalare e incastrare un nuovo tassello nel suo grande mosaico della realtà filmata.

Unico italiano in concorso al 66° festival del cinema di Berlino, Rosi si fa portavoce sincero di una storia attuale, complessa e pericolosa: una delle tante storie di Lampedusa.

Samuele è un ragazzino lampedusano di 12 anni alle prese con la scuola, il suo occhio pigro e i primi stati d’ansia. Ci guida per i sentieri della sua isola e sulle brulle zone in cui caccia gli uccelli con la fionda. C’è poi quel pezzo di mare navigato da suo padre, pescatore di professione; quel mare con cui Salvatore deve imparare a convivere perché, come sottolinea il suo compagno di banco, a Lampedusa tutti sono marinai.

Quello stesso mare famigerato, testimone, scenario di fuga e morte che va a fuoco, così vicino e così estraneo a Samuele che intanto, distaccato, con le mani spara verso l’orizzonte a ciò che la fantasia gli consiglia, senza comprendere a pieno.

E’ il dottor Bartolo a mostrarci ciò che Samuele non vede. Racconta con commozione quelle intime difficoltà che accompagnano il suo lavoro di medico di frontiera: alla morte non ci si abitua mai, anche dopo aver esaminato centinaia di cadaveri sottratti al mare. E’ proprio questa figura che fa da collante, il tramite che avvicina le tecniche di costruzione delle fionde di Samuele alle operazioni di salvataggio effettuate in mare, elementi altrimenti distinti in due mondi separati.

Come nelle sue opere precedenti il regista è semplice narratore, immortala il vero e il naturale, il semplicemente umano,  per poi scomparire all’interno della sua stessa pellicola. La difficoltà di questo prezioso progetto ricade sul frastuono mediatico che, storicamente, viviamo da uditori e contemporanei.

Se il rischio era l’inabissamento nel moralismo, nella politica e nella presa di posizione, Rosi ha saltato tutti gli ostacoli con gran eleganza; confeziona una pellicola di qualità, un filone d’immagini raccontate con l’ausilio di una fotografia fredda, plumbea, che scandisce la visuale asettica del regista durante le riprese.

Fuocoammare è un film senza riserve, che non vuole tralasciare nulla. Con stile riflette il dolore, le lacrime, la banalità del quotidiano e la morte. Un documentario che non ha intenzioni leziose, ma che vuole rappresentare una terra di confine con il fascino del semplice. E’ un razzo di segnalazione, un vero e proprio fuoco a mare che attira l’attenzione sulla compresenza tra chi esiste e chi resiste.