Svelare attraverso le parole ciò che mi sono persa confusa dal rumore del presente e impastoiata nelle emozioni: ecco cosa amo del mio lavoro.
Non potrei più farne a meno. A partire da quei primi goffi tentativi di recitazione cui mia madre assisteva sorridendo, nascosta nell’ombra della sala parrocchiale. Mentre le cose accadono è raro che ragione ed emozione trovino la forza di comunicare, di solito viaggiano separate. Nella scrittura, su un palco, su uno schermo, l’arte ha il potere di riunirle. La vita ci travolge, ci sopraffà, soprattutto quando riguarda noi o le persone con cui siamo invischiati in relazioni intense. Quando invece è mediata da un racconto, sceneggiata, romanzata, vi prendiamo parte con il cuore e allo stesso tempo con la mente, emozionandoci e ragionando sull’emozione.
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Per questo ho descritto mio padre in pagine che non userò in questa storia e terrò solo per me. Mentre fa la valigia per il Venezuela e nello spazio del beauty case infila una confezione di gianduiotti avvolta in una carta dorata con un fiocco rosso, e subito dopo va ad aiutare mia madre a ritirare la roba asciutta dallo stendipanni sul balcone. Mentre la fa ridere. Mentre la fa piangere. Per questo ho descritto anche lei, mia madre, in pagine che terrò per me. A letto, una sera con un libro sulle ginocchia e mio fratello accoccolato di fianco, mentre guarda un quadro che mi padre le ha portato dal Vietnam. ….. Per lo stesso motivo ho descritto me stessa in pagine che terrò da parte per i miei figli: perché sappiano chi sono stata. Se c’è una cosa che ho capito è che le storie non risolvono i problemi: ci permettono solo di vederli e di dare loro un nome.
Non sono mai stata brava a gestire la fragilità dei miei genitori: nei loro confronti non ho mai smesso di sentirmi figlia e di voler essere io quella accudita. Mi veniva spontaneo pensare che essendo più vecchi di me dovessero essere migliori di me, punto: una di quelle cose scritte nel destino.
Avvolto in un leggero strato di malinconia, il romanzo, raccontato dalla voce di una delle figlie, narra le vicissitudini di un uomo in pensione da poco rimasto vedovo.
Un uomo che per tutta la sua vita lavorativa ha costruito ponti in giro per il mondo si ritrova ora solo, in una domenica mattina, a preparare un pranzo per le sue nipoti e una delle figlie ed il marito seguendo le ricette che sue moglie aveva appuntato in un quaderno.
Ma un lieve incidente ad una delle nipoti manda in frantumi i programmi della giornata ed il pranzo.
I ricordi, la mancanza della moglie scomparsa da poco, il silenzio della grande casa lo costringono ad andare fuori per non farsi sopraffare dai ricordi.
È una domenica come tante, le persone sono impegnate nelle loro azioni quotidiane e lui è solo.
Cammina verso il parco, a quell’ora quasi deserto eccetto per un ragazzino che prova e riprova sulle rampe con il suo skateboard e una donna che potrebbe essere sua madre, e si siede su una panchina.
Nonostante la sua indole riservata inizia a conversare con la donna seduta alla panchina a fianco. Le solite domande fino a che il figlio non si avvicina alla donna e le chiede da mangiare. La donna tentenna, il ragazzo protesta che quello che gli offre la madre non gli piace, e senza sapere perché li invita a casa loro raccontando del pranzo che nessuno mangerà e del piccolo incidente accorso a sua nipote.
Dapprima la donna rifiuta poi accetta.
È durante questo pranzo: insolito, inaspettato, quasi surreale che i due adulti hanno uno scambio di sogni, ricordi, rimpianti e aspettative sulla vita che il destino ha deciso di cambiare. E da una semplice conversazione tra due sconosciuti che le loro vite prenderanno una piega diversa, migliore.
Come sempre Fabio Geda riesce a trovare le parole giuste per far vibrare le corde dell’anima e narrando una semplice giornata riesce a tessere insieme, come una trama di un grande disegno al telaio, il passato ed il futuro. Cosa è stato, cosa sarà, gli errori commessi e le scuse mai dette.
