Dolore, sofferenza, morte. Chiunque pensi alla vita singolare della grande pittrice messicana Frida Kahlo assocerebbe le sue opere a queste tre costanti dell’esistenza umana, in primo luogo perché fu una donna che patì infernali malesseri sin dall’infanzia.
Frida, però, fu una donna forte, tenace e altamente speranzosa, anche in virtù delle sue origini precolombiane (che non tardò mai a raffigurare nelle sue opere); non per niente nel suo ultimo dipinto, che ritrae tre angurie di un rosso vivace, scrisse come suo testamento “viva la vida”, la prova cioè che fu sempre pronta a combattere contro tutte le difficoltà che scandirono i suoi giorni.
È questa la celebrazione affezionata che Gianni Troilo ci restituisce nel suo documentario Frida-viva la vida, inserito nel progetto originale La grande arte al cinema e coprodotto da Nexo Digital e Ballandi Arts.
Presentato in anteprima al 37esimo Torino Film Festival, la docufiction è narrata dalla voce profonda di Asia Argento, che ci aiuta a indagare l’animo di una donna celebre e iconica, diviso in due parti: una Frida moderna, modello femminista di numerose donne al mondo, e una Frida enigmatica, malinconica e prostrata dalla “disabilità” oggetto della sua arte.
La storia ripercorre gli episodi più significativi della sua vita, con incursioni nel privato tra diari e lettere. L’intero operato di Frida pare un’inedito racconto per immagini, una sorta di “album fotografico” fatto invece di tele suggestive, che ci hanno parlato dal passato in maniera inequivocabile: la poliomielite che colpì Frida in tenera età è, in sostanza, il trampolino di lancio della futura e perpetua ricerca di sé, analisi tormentata di cosa avrebbe scoperto la bambina che era costretta a letto, circondata da specchi e pennelli per passare il tempo.
Il racconto di Asia Argento appassionato ma soprattutto edificante è caratterizzato dal costante richiamo a oggetti appartenuti all’artista, che racchiudevano i pensieri inconfessati della donna, apparsi tacitamente in alcune, inconfondibili opere.
Sotto questo aspetto, per esempio, La colonna spezzata del 1944 è un autentico reperto. Frida, seminuda, è avvolta da un corsetto che le servì realmente a correggere un’imperfezione della colonna vertebrale in seguito a una faticosa operazione. Di notevole impatto i moltissimi chiodi conficcati nell’addome e nel viso di Frida, nonché le vertebre visibilmente di metallo.
Ancora più angosciante e terrificante è il dipinto Ospedale Henry Ford, di circa un decennio prima, che ritrae Frida in un letto volante, dopo un aborto. Dal suo ventre si dipartono 5 cordoni ombelicali – rossi come il sangue che ha appena perso – collegati a loro volta a figure caratterizzanti quel doloroso episodio: il feto mai concepito, il bacino spezzato, una lumaca simbolo della lentezza dell’aborto, un’orchidea viola (dono che le fece il marito Diego Rivera), e infine uno sterilizzatore a vapore (strumento ospedaliero dell’epoca).
Tra le comparse fondamentali, è da segnalare il disegnatore di retablos Alfrido Vilchis, che realizza misteriosi manufatti, testimonianze preziose della cultura messicana; la pronipote di Frida Cristina Kahlo; la direttrice del Museo Frida Kahlo Hilda Trujillo; la fotografa Graciela Iturbide, che ebbe l’onore di entrare per prima nel bagno della casa dove visse l’artista, rimasto chiuso fino al 2004.

Vorrebbe avere una conversazione con Audrey Hepburn, ma si accontenterà di sognarla guardando i suoi film.
Ama leggere: legge qualsiasi cosa scritta su qualsiasi superficie materiale e, se la trova particolarmente attraente, la ricopia subito senza pensarci troppo.
E fu così che iniziò millemila quaderni delle citazioni sparpagliati tutti sulla sua scrivania in disordine.