Dopo Gus Van Sant è il novello Jason Zada a raccontare i misteri della foresta giapponese dei suicidi con il suo primo lungometraggio: The forest. Il nome in rilievo sulla locandina questa volta spetta a Natalie Dormer.Sara viene informata della scomparsa di sua sorella Jessie. Si precipita in Giappone per seguire i passi della gemella all’interno della foresta dei suicidi, situata ai piedi del monte Fuji, orientando le ricerche sulle sue sensazioni ed emotività. La foresta di Aokigahara però, per chi non ha un cuore sereno, si rivela un luogo sadico e spettrale, animato da visioni malefiche.

Poi uno non deve meravigliarsi se si sente dire in giro che al cinema escono solo horror bruttini. Questo è assolutamente il caso di The forest. L’esordio di Jason Zada al lungometraggio fa acqua da tutte le parti.

Sarà l’inesperienza, sarà l’amatorialità dell’intero progetto, sarà che la foresta di Aokigahara non si lasci mai filmare come dovrebbe, rendendosi un soggetto altezzoso, un luogo magico che messo contro l’obiettivo comincia a fare il prezioso. La foresta dei suicidi aveva dato problemi quasi un anno fa al ben più noto Gus Van Sant per “La foresta dei sogni”, altra pellicola che a suo tempo lasciò qualche perplessità. Per l’operato di Zada, le cose stanno anche peggio.

La confezione è una continua telefonata allo spettatore. La foresta brama nuove e succulenti anime agonizzanti con la stessa forza con cui lo spettatore attende il termine del film. La prevedibilità soggiace un po’ ovunque. Non c’è attesa, non c’è tensione, non c’è niente. Quasi relegato all’etichetta di un b-movie, The forest si dona con il contagocce, dissolto in una sostanza particolarmente acerba. Sagome psicologiche schizzate appena con un una matita spuntata, sceneggiatura come un vero e proprio scolapasta. Le visioni, umane e non, fanno rabbrividire solo se messi sotto tortura, Le deplorevoli svolte narrative, queste si che fanno rabbrividire. Il film di Zada è un manifesto di “come non girare un film horror”, in tutto e per tutto. Sorprende vedere il volto noto di Natalie Dormer su un set che non la merita neanche lontanamente. Regia asciutta che in questo caso non presenta proprio un vanto. Appiattire è buona cosa quando la corposità drammaturgica della trama e dei temi lo consente. Ci si poteva sforzare almeno nel creare un paio di inquadrature suggestive, provando a farci dimenticare quanto The forest sia in modo incontrovertibile un prodotto di scarsa qualità.