In concorso a Cannes 2016, il dramma-giallo dei Dardenne, fedele al solito stile dei due artisti, dal 27 ottobre al cinema.

Dopo l’orario di chiusura il medico Jenny sente suonare alla porta del suo studio ma, impegnata nel correggere gli impulsi emotivi di un giovane stagista, non risponde. Il giorno seguente viene a sapere della morte di una giovane ragazza che prima di morire avrebbe suonato il suo campanello.

Questa volta i due fratelli belgi si lanciano in un vero e proprio giallo. Uso volutamente e cinicamente la parola “lanciano”, perché parlando dei Dardenne dovrebbe balzare agli occhi un vero e proprio ossimoro in questo caso. Jean-Pierre e Luc non saltano e non fanno saltare proprio un bel niente, per natura forse, come fosse un limite archetipo, quasi un epiteto in via di costruzione se osserviamo la filmografia degli ultimi anni; “Stilistica”, se vogliamo concedere il beneficio del termine.

Fatto sta che La ragazza senza nome è un filone immobile, una caccia al nome mossa nelle solite strade, nei soliti quartieri deserti, luoghi da Dardenne, con quei ricorrenti personaggi freddi e quotidiani che non hanno nulla di speciale, svuotati e poi riempiti a piacere dal gelo dei due vecchi registi. Un giallo di periferia in cui semplici e poveri pazienti si rivelano per quel che sono: ancora poveri pazienti, ma con qualche scheletro nell’armadio. Telefonate, informazioni, rivelazioni: il procedere di un comune film d’indagine che fa a meno del climax. Il film stanca. Dopo un po’, sinceramente, non vediamo l’ora di trovare il colpevole e l’identità della ragazza scomparsa solo per evadere dalla tiritera della buona e disponibile dottoressa, paladina dei senza nome, dalla coscienza che marcisce giorno dopo giorno per i sensi di colpa.

Tecnicamente la confezione risulta asetticamente perfetta. Più che artisti i due fratelli sembrano ingegneri dell’immagine drammatica. La Haenel, vista di recente in Les Ogres, mostra con la staticità del suo ultimo ruolo l’incredibile facoltà d’adattarsi a qualsiasi copione, seppure la preferiamo infinite volte nei panni della teatrante circense dai modi estroversi.

Per i Dardenne si parla di vero e proprio fissismo ormai. Monocromatici, creano il proprio stereotipo; continuano a mostrare una regia favolosa ma non incuriosiscono neanche più oramai.