Ha aperto le danze allo scorso festival del cinema di Cannes, il film di Woody Allen fuori concorso per la Palma con Jesse Eisenberg e Kristen Stewart. Al cinema dal 29 settembre.
Bobby decide di lasciare New York alla volta di Los Angeles per diventare un agente cinematografico seguendo le orme di suo zio Phill. Conosce Vonnie, segretaria e amante segreta di Phill per la quale prova attrazione fin dal primo incontro. Incassata amaramente la scelta di Vonnie ricaduta su suo zio, Bobby torna a New York, trovando successo con la gestione di un locale, per poi sposare Veronica. La visita di Vonnie a New York destabilizza il nuovo equilibrio di Bobby.
Allen è un genio, certo, ed è proprio per questo motivo che un film come Cafè Society, ad oggi, non può proprio bastarci. Il suo tocco è palpabile, la magia con cui i suoi idiosincratici personaggi (molto meno delle pellicole precedenti) dialogano con aria di sussiego è presente, ma scemante e spesso quasi in crisi. Perfetta ricreazione del sensazionale ambiente dei trenta americani, c’è il sogno americano insomma, la Hollywood che brilla con il fascino di ciò che è meglio. Battute divertenti, provocanti, cenni di piccole e consuete frecciatine nei confronti del macrocosmo borghese e intellettuale, ma tutto messo sotto radice, tutto ridotto all’osso.
Le dinamiche, avrete capito, sono le solite. Amori sempre troppo difficili, in qualche modo ostacolati ad ogni giro di boa, accompagnati dal solito sottofondo jazz che incornicia le belle scenografie ed i bei vestiti. Sofisticati e decadenti come al solito gli eroi della commedia sentimentale di Allen, sognatori in balia del mondo che a termine confezione, con due inquadrature struggenti, godono di quel fascino un po’ esteta;c’è l’incubo dell’attimo, c’è la tremenda sensazione d’impossibilità così come c’è Allen che porta in scena il suo lato più tenero, passionale e melanconico.
Cafè Society non folgora come i lavori passati. Pare più un progetto che vive di rendita, un arto rudimentale, un’escrescenza Alleniana con la costante abitudine di frenare tutto ciò che sinceramente più apprezziamo nel regista americano, come il potere del melò e della tragedia macchiata dalla solita ironia geniale.
Nota di merito per Jesse Eisenberg, originale in ogni inquadratura, sempre un attimo in anticipo nei confronti di ogni considerazione critica. Necessariamente negativa quella rivolta a Kristen Stewart ( quest’ultima ignoratela, frutto di pura insofferenza personale, insopprimibile purtroppo).
Un film più che piacevole se analizzato come singolo prodotto cinematografico, poco meno piacente se paragonato a pellicole di Allen dove il fazioso, il lezioso e gli alterchi esasperati fanno dell’ ”insopportabile”, messo tra virgolette, un’arma vincente.