Non ero mai stata a Trame Sonore. Ne avevo sentito parlare, certo — elogi, recensioni entusiaste, voci di corridoio tra appassionati — ma viverlo di persona è stato un altro tipo di rivelazione. Un’immersione completa, quasi un rito di passaggio, in quella che potrei definire una delle esperienze musicali più raffinate, stratificate e vive che mi sia capitato di attraversare.
Arrivare a Mantova per il festival è già, in sé, un’entrata in scena. La città si offre come un palcoscenico diffuso, dove ogni luogo è spazio d’ascolto e ogni passaggio tra un concerto e l’altro è una pausa narrativa. Ho assistito a numerosi concerti — più di quanti potessi prevedere, sospinta da un entusiasmo crescente — in luoghi che da soli valgono il viaggio: le stanze del Palazzo Ducale (Sala dei Fiumi, Sala Manto, la Galleria degli Specchi), l’incantevole Teatro Bibiena, la Rotonda di San Lorenzo, il Palazzo Vescovile, Palazzo d’Arco, la Casa del Pittore. In ognuno di questi spazi la musica sembrava nascere dal luogo stesso, come un’emanazione della sua storia. E tra un’esibizione e l’altra, un momento di riposo all’ombra dei profumati tigli di Piazza Pallone ha reso l’esperienza ancora più suggestiva.
Ciò che distingue Trame Sonore da molti altri festival è proprio questa capacità di cucire la musica al contesto. Non si tratta solo di “ambientare” concerti in luoghi suggestivi, ma di intrecciare spazio e suono in una drammaturgia coerente. L’ascoltatore non è un semplice spettatore, ma diventa parte di un flusso più grande, in cui ogni elemento ha un ruolo espressivo. Con circa 300 artisti presenti e 150 eventi musicali, l’offerta è stata ricchissima e pensata per un’immersione totale.
Tra i momenti che porterò con me, uno su tutti: il concerto dedicato a Schubert, domenica alle 17.30 al Teatro Bibiena. È difficile spiegare a parole l’emozione di ascoltare Schubert in quella sala: la morbidezza delle linee, la trasparenza dell’acustica, la densità lirica che si diffondeva come un respiro collettivo. L’ensemble ha saputo restituire sia la fragilità che la tensione interna della musica, evitando ogni facile compiacimento. Un’esecuzione che ha rispettato il silenzio, come parte integrante del suono.
Altre esperienze sono state meno convenzionali, ma altrettanto forti. Looking Forward ha portato un’energia nuova, una visione progettuale che si muove con intelligenza tra repertorio e ricerca, con una cura per la qualità interpretativa rara tra i giovani ensemble. Musicaeterna Dance, invece, ha lasciato un’impronta fisica: un corpo che suona, una musica che si muove, in un ibrido potente e rischioso che ha saputo reggere l’ambizione. Lumen et Umbra ha esplorato territori più intimi, lavorando sul limite tra luce e oscurità — nel suono, nella scrittura, nella percezione.
Non tutti i concerti hanno raggiunto lo stesso livello, e questo è naturale. Alcune proposte, pur corrette, mi sono sembrate più convenzionali, meno coraggiose nell’approccio o nella programmazione. Ma è proprio questa alternanza — tra eccellenza, rischio, comfort, sorpresa — a rendere Trame Sonore un festival vivo, non museale. Un festival che non cerca di piacere a tutti, ma di parlare davvero a chi vuole ascoltare.
C’è anche un altro elemento che merita menzione: l’organizzazione. La leggerezza con cui si passa da un concerto all’altro, il pubblico vario e curioso, la possibilità di fermarsi, riflettere, lasciarsi guidare. Trame Sonore è pensato per chi ama la musica, ma anche per chi ama l’esperienza culturale nella sua totalità. Non si tratta di “programmare” un cartellone, ma di progettare un ecosistema. Ho avuto anche il piacere di incontrare personalmente Carlo Fabiano, il deus ex machina dell’evento, e fargli i miei più sinceri complimenti per la visione e la realizzazione di un festival così straordinario.
Per chi non c’è mai stato, Trame Sonore può sembrare solo un raffinato festival di musica da camera. Ma è molto di più. È una pratica di ascolto collettivo, un laboratorio urbano, un atto di fiducia nell’arte come legame tra tempo, spazio e comunità.
E per me, è stato un primo incontro. Di quelli che, lo so già, vorrò ripetere.