L’ultima pellicola di Virzì è arrivata a Cannes, forse dalla parte sbagliata. La pazza gioia è stato presentato nel festival parallelo a quello dalla palma dorata, la competizione poco meno frenetica ma di eguale qualità: la Quinzaine des Rèalisateurs.

Beatrice Morandini, logorroica e megalomane, è trattenuta in una struttura di recupero per donne con problemi giudiziari. Donatella Morelli, cupa e silenziosa, fa il suo ingresso nella stessa struttura. Tra le due sorge l’affinità e la complicità che riesce a metterle in fuga. Le due, tanto diverse quanto simili, si rimettono sulla scia del proprio passato per riprenderne i fili spezzati da tempo, con tutti i problemi del caso.

Ancora una volta Virzì mette sulla scena personaggi studiati, colmi e traboccanti di sfumature. Esistenze per la quale è impossibile restare impassibili. Se ne “Il capitale umano” questo era percepibile, ne “La pazza gioia” il risultato è amplificato, voluto e assolutamente ottenuto.

Il film è un continuo mutare, non perde mai la grinta. Diverte e commuove. Catartico fino all’ultima scena. L’ottima tecnica registica di Virzì è sorretta da due splendide interpretazioni, perché Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti sono l’anima dell’intera confezione. La Tedeschi è un uragano, magnetica, spontanea e ironica. Insomma non ha perso un colpo, anzi è salita di un paio di gradini. L’insicurezza, i silenzi parlanti e la voce tremante danno forma ad un fantasma che prende possesso del corpo della Ramazzotti, trasformandola nel personaggio di cui Virzì aveva necessità.

I temi probabilmente sono triti e ritriti, ma il regista ha saputo parlare di malattia, allontanamento dalla società e problemi con la giustizia in modo davvero originale, forse anche perché mosso da un intimismo di fondo, un vissuto che fa da garante. Neanche il temi della depressione e del suicidio sono spiattellati sullo schermo in modo grezzo. La pazza gioia è accompagnato da una costante eleganza delle immagini, oltre che dalla sceneggiatura che riesce a fare a meno di sbavature. In un paio di sequenze il film rischia di cadere in quell’abisso chiamato sentimentalismo spicciolo, riuscendo però sempre ad evitare il salto sul crepaccio. Incorniciato dalla mai tramontata “Senza fine” di Gino Paoli, La pazza gioia è quel film che può farci sentire fieri del cinema Italiano.