Federico Micali ci racconta un’epoca, un estratto di vite e fatti che si biforcano all’interno di un cinema, una famigerata sala toscana: l’Universale. In sala allo spazio Oberdan di Milano dal 13 al 17 maggio.

Tommaso nasce e cresce tra pellicole e poltrone da sala, alla luce di un grande schermo bianco, quello dello storico cinema di Firenze chiamato “Universale”. Tommaso è figlio del proiezionista che per contrastare la concorrenza del cinema Eden è costretto a modificare la sua idea di proiezione; Bertolucci, Truffaut, Kurosawa e il resto del grande cinema diventa il nuovo pane quotidiano della sala. Con Tommaso ci sono Alice e Marcello, amici d’infanzia che crescendo nella Firenze degli anni 70 prendono strade differenti, lontane dalla sorte inevitabile del piccolo cinema di borgo che ha chiuso i battenti nell’89.

L’universale è una vera e propria comunità, una famiglia con un proprio codice comportamentale che va al di là della logica del normale spettatore. Commenti esilaranti e risate sono il fulcro della sala. Una sala, seppure non ammaestrata alla settima arte, in grado di vivere il cinema. Perché il cinema, come ci sussurra Micali, è di chi lo vive. Tra film belli e brutti, tra la confidenza che si ha con la vecchia signora della biglietteria e l’odore di sala che permea gli indumenti.

Micali è nostalgico nel raccontare una generazione fatta di sogni e voglia di vedere il mondo, di provare le novità, buone o cattive che siano. Ci mostra quella stessa generazione del caso Moro e delle brigate. Infine, quella parte di generazione che ha preferito restare tra le vie del proprio paese, nello stesso cinema, con le stesse facce, a sospirare e guardare da un punto fermo il mondo che continua a muoversi frenetico. Un porto sicuro dunque è l’universale del film di Micali, un luogo che abbraccia la propria tradizione, il proprio dialetto e si considera noncurante di ciò che c’è all’esterno. Oggi resta un sogno vedere una vespa volteggiare tra i sedili di una sala, un sogno che si conclude nell’89 con la chiusura del cinema fiorentino.

Buona la regia e la sceneggiatura, un connubio giovane, fresco, mai noioso o sciatto. Una pellicola senza troppe pretese che centra il segno e non si perde in banalità da “scuola neo-italiana”. Una prova mai deludente che lascia ben sperare nei prossimi lavori di Micali.