Il viaggio, la paura, il dramma e la ricerca di sé. Un tutt’uno nel film di Paolo Sassanelli presentato al Bari Film Festival. Due piccoli Italiani, un lungo viaggio dalla Puglia all’Islanda,nei cinema il 14 giugno.

Felice e Salvatore sono entrambi ospiti di un centro di assistenza per malattie mentali. Mentre il secondo svolge mansioni di pulizia in alcuni stabili, il primo ha paura del mondo esterno e soprattutto è bloccato nel ricordo di una mamma che pensa di poter ritrovare solo se potrà raggiungere l’Olanda. Quando Salvatore, che soffre di impotenza, si trova implicato in una situazione che gli fa pensare di aver commesso un grave reato nei confronti di una donna e di chi la difendeva, decide di fuggire.

Un Rain Man italiano possiamo definirlo questo Due piccoli italiani. Al posto di Hoffman e Cruise però ci sono Sassanelli, regista, sceneggiatore e attore nel film, e Francesco Colella. Dal profondo sud pugliese alla fredda e lontana Islanda, un on the road nostrano e casereccio che sollevando qualche questione più che dignitosa, segna anche il salto qualitativo di Sassanelli.

Volto noto per Un medico in famiglia, Il bello delle donne, ma anche Abbraccialo per me e L’equilibrio, Sassanelli approda alla regia per il suo primo vero lungometraggio, mostrandosi in vesti nuove e autoriali.

Buona è dunque la prova di Due piccoli italiani. Storia nota e già vista è quella dell’autistico e del suo accompagnatore sfrontato e vizioso, legati assieme da un forte legame fraterno, solidale e affettivo. Nel quadro “terra terra” di Sassanelli i problemi sono condivisi da entrambi. Il primo fa i conti, oltre che con l’autismo, con la ricerca disperata di sua madre, creduta una cantante di successo in Olanda. Il secondo è incarcerato psichicamente in una disfunzione erettile e incatenato alla conseguente ira furibonda, figlia di ogni rapporto sessuale fallito. Entrambi alla ricerca del “tocco salvifico” in grado di scioglierli dall’incantesimo, i due pugliesi approfittano di un pullman di tifosi olandesi per fuggire alla legge, alla vita monotona e senza sogni, con destinazione un posto qualsiasi da poter chiamare “casa”.

Sassanelli traccia, per mezzo delle sue macchiette curiose, una strada senza punti fermi per cui l’idilliaco luogo finale è uno spazio idealizzato ma raggiungibile a sprazzi. Chimerico è quel luogo che sappia non solo fare da casa nel mondo, ma che sia in grado di allacciare relazioni con un sé e una propria personalità sempre cangiante, in movimento e mai afferrabile. L’intervento di una ribelle e scapestrata donna olandese, Anke, sarà decisivo nel tentativo di provare a rimettere qualche tassello del mosaico al proprio posto, aiutando i due fuggitivi a farsi spazio non solo nel mondo, ma anche in sé stessi, nella complessa impresa della presa di coscienza dei propri fantasmi. Fare la pace con il mondo poi è un risultato accessibile solo per mezzo del tocco, inteso nella sua accezione più pura e salvifica, in grado di scardinare le barriere e i blocchi sommati dal passato e nel tempo.

Non mancano i momenti rilassanti e ilari, i soliti offerti da due ingenuotti alle prese con un mondo tanto distante e libertino come quello dei paesi bassi.

Una commedia che non si ferma al riso dunque, in grado di far schiudere momenti drammatici distesi e affrontati con sensibilità, ma anche coscienza dei propri strumenti e limiti tecnici, per poi rincasare sulla strada maestra commediante. Un vero salto quello di Sassanelli che lascia ben sperare in un proseguimento su una più larga scala, in una scena poco più ampia nel panorama della commedia italiana, spesso chiusa in un teatrino regionale.