Rovere ci racconta una storia vera legata al mondo delle corse, rinascendo nella regia con un prodotto tanto diverso da ciò che siamo abituati a vedere.
Un simil Rush italiano che non manca di originalità , riempito con la presenza di Stefano Accorsi che torna su grande schermo dopo “La nostra terra” di ben due anni prima.
Giulia De Martino non è una comune diciassettenne. Vive in un casale campagnolo dell’Emilia, accudisce suo fratello più piccolo, abbandonata da sua madre e orfana di padre. Quest’ultimo le lascia un pesante fardello, ovvero l’obbligo di vincere il campionato GT con la sua auto da corsa per non perdere la casa. Contemporaneamente, dopo dieci anni di assenza si fa vivo Loris, suo fratello maggiore, ex pilota di Rally inabissato nel circolo della droga e della dipendenza.
Loris sarà anche un tossico ma con il volante ci sa fare, dunque sarà determinante la sua pesante e grottesca presenza per il percorso di Giulia ormai rimasta sola.
In Italia, ce ne rendiamo conto, il cinema sta prendendo strane curve, mai solcate con tanta determinazione, poco battute e tutte da scoprire. Se qualche tempo fa vi abbiamo parlato di un Jeeg robot romano e poco convenzionale, questa volta parliamo di un film che si snoda tra gare in pista e corse clandestine, genere ben noto in altri contesti decisamente poco nostrani. Una prova ardua quindi, una gara che se cominciata male rischiava di non concludere neanche al traguardo. Ma Veloce come il vento ingrana la marcia fin da subito. La regia di Rovere è impeccabile. Mozzafiato le scene in cui sfilano le ruote sull’asfalto, maggioranza delle sequenze che però non hanno eclissato tutto ciò che c’è oltre la pista. Il cuore di questa pellicola infatti non è racchiuso in un paio di motori rombanti, ma nelle esistenze dei personaggi che si muovono sulla scena.
E le esistenze in questione sono quelle di Loris e Giulia interpretate da Stefano Accorsi e Matilda De Angelis, fratello e sorella dalle tinte molto differenti, ma con la stessa dose di carburante nelle vene. Accorsi torna sul grande schermo con un personaggio che gli lascia decisamente molto spazio, e lui questo spazio ha deciso di occuparlo tutto, qualche volta eccedendo, ma in linea di massima riuscendo a mostrare tutto ciò che Rovere ci vuole mostrare: l’icona di un fallimento vivente. Buona è anche la prova della De Angelis al suo promettente debutto.
Il percorso di questi individui di confine, che sembrano esistere per la collettività solo quando sono vicini ad un’auto da corsa, è fatto di alti e bassi. Si intromettono in queste dinamiche la dipendenza dalle droghe, i problemi economici e i vecchi rancori. Ma diventare una squadra, in questo caso, è ricomporre una famiglia, perfino a costo di rimetterci la pelle.
Il rischio di caduta nel sentimentalismo era dietro l’angolo. Perfino sul finale siamo stati portati a pensare che infondo qualcosa di “fatto male” in questo film doveva pur esserci. Quindi giunge come un colpo di frusta il finale di questo film, affatto banale e inaspettato, insomma ciò che non siamo abituati a vedere in Italia. Un occhiolino malizioso che, in via eccezionale, ci piace e convince.
Intrattenimento puro quindi. Veloce come il vento è un film che non annoia mai e non stanca, ma è anche un film che non si limita a tenere lo spettatore appeso all’amo solo grazie alle belle auto che sfrecciano sulla strada, ai repentini cambi di marcia e alle bandiere a scacchi sventolate sui traguardi. Parliamo di un film che affascina soprattutto per il dramma che rilascia lentamente; affascina perché è in grado di far esclamare: “non sembra un film italiano”; frasi che non vorremmo sentire più e che seguendo questa strada, chissà…