Nel momento esatto in cui l’equinozio di primavera segna il passaggio alla nuova stagione, una tradizione millenaria prende vita in Iran e in molti paesi dell’Asia centrale.
Il Nawrūz, che significa “nuovo giorno” in farsi, trasforma intere città in scenari di festa e rinascita. Mentre il sole attraversa l’equatore celeste, famiglie di diverse generazioni si riuniscono attorno a tavole riccamente imbandite, dando il benvenuto al nuovo anno solare con rituali che affondano le radici nell’antica Persia.
La tavola dei sette elementi
Al centro delle celebrazioni domestiche troviamo l’Haft Sin, una composizione rituale di sette elementi il cui nome inizia con la lettera ‘S’ nell’alfabeto persiano. Su tovaglie finemente ricamate vengono disposti: il samanu (un dolce pudding di germogli di grano), il sabzeh (germogli verdi simbolo di rinascita), il senjed (frutti secchi dell’olivastro), il serkeh (aceto), il somaq (sommacco), il sib (mela) e il sir (aglio). Ogni elemento porta con sé un significato profondo: salute, prosperità, pazienza, longevità, amore. Accanto a questi, uno specchio per riflettere la luce, candele fiammeggianti e uova dipinte completano questa installazione temporanea che trasforma ogni casa in un tempio domestico dedicato al rinnovamento.
I sapori della rinascita
Le tavole del Nawrūz si arricchiscono di piatti che raccontano secoli di tradizione culinaria. Il Sabzi Polo Mahi, riso verde aromatizzato con erbe fresche e servito con pesce, rappresenta l’abbondanza e la vita. Le famiglie iraniane preparano con cura il Kuku Sabzi, una frittata verde densa di erbe aromatiche che simboleggia la fertilità della terra risvegliata. I dolci non mancano mai: i Naan-e Berenji, biscotti di riso profumati alla rosa e allo zafferano, si sciolgono in bocca rilasciando aromi che sembrano catturare l’essenza stessa della primavera.
Danze e fuoco: la notte di Chaharshanbe Suri
La vigilia dell’ultimo mercoledì dell’anno si anima con una delle tradizioni più spettacolari: il Chaharshanbe Suri. Nelle strade e nei cortili, piccoli falò illuminano la notte mentre persone di ogni età saltano sopra le fiamme recitando l’antica formula: “Il tuo rossore a me, il mio pallore a te”. Un rito purificatore che simboleggia l’allontanamento della sfortuna e delle malattie dell’anno trascorso. L’aria vibra di musica tradizionale, con il suono ipnotico del tar e del daf che accompagna danze spontanee sotto cieli stellati.
Il viaggio di Hajji Firuz
Nei giorni che precedono il Nawrūz, una figura vestita di rosso con il volto dipinto di nero porta l’annuncio dell’arrivo della primavera. Hajji Firuz, messaggero gioioso della nuova stagione, cammina per le strade suonando il tamburo e cantando canzoni tradizionali. Il suo arrivo nelle comunità segna l’inizio ufficiale dei festeggiamenti, un momento in cui anche gli sconosciuti si salutano con sorrisi e auguri di prosperità.
L’eredità vivente di una festa senza confini
Oggi il Nawrūz, riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio culturale immateriale dell’umanità, unisce popoli di diverse fedi e nazionalità. Dalle montagne dell’Afghanistan alle pianure del Kazakistan, dalle comunità zoroastriane a quelle musulmane, questa celebrazione trascende i confini politici e religiosi, ricordandoci che il rinnovamento della natura è un linguaggio universale. Mentre le famiglie si scambiano visite, doni e auguri di “Eid-e Shoma Mobarak” (buona festa), il Nawrūz continua a tessere insieme passato e presente, tradizione e rinnovamento, in un arazzo culturale straordinariamente resistente al passare dei secoli.

Direttore editoriale di No#News Magazine.
Viaggiatore iperattivo, tenta sempre di confondersi con la popolazione indigena.
Amante della lettura, legge un po’ di tutto. Dai cupi autori russi, passando per i libertini francesi, attraverso i pessimisti tedeschi, per arrivare ai sofferenti per amore, inglesi. Tra gli scrittori moderni tra i preferiti spiccano Roddy Doyle, Nick Hornby e Francesco Muzzopappa.
Melomane vecchio stampo: è chiamato il fondamentalista del Loggione. Ama il dramma verdiano così come le atmosfere oniriche di Wagner. L’opera preferita tuttavia rimane la Tosca.