Si chiama vulvodinia ed è una patologia dolorosa che colpisce l’organo genitale femminile, compromettendo seriamente la qualità della vita di chi ne soffre. In Italia interessa circa il 15% delle donne, ma solo il 60% di coloro che ne sono affette riesce a ricevere una diagnosi e cure adeguate. Infatti, nonostante si tratti di un disturbo largamente diffuso, la vulvodinia è ancora spesso misconosciuta e sottostimata.
Vulvodinia: cos’è e come si manifesta
La vulvodinia è una condizione dolorosa cronica che interessa i genitali esterni femminili e rientra tra i disturbi del dolore sessuale. Bruciore, prurito, irritazione, secchezza, gonfiore, disepitelizzazione e dispareunia, ossia dolore durante il rapporto sessuale, sono alcuni dei principali sintomi con cui può manifestarsi questa patologia.
Spesso tutto comincia con piccoli fastidi intimi, che somigliano a quelli causati da infezioni o infiammazioni generiche, quali candida, cistite e vaginismo. Col tempo, questi primi sintomi possono aggravarsi e cronicizzare, rendendo via via sempre più difficile, talvolta persino impossibile, svolgere anche le più semplici attività quotidiane, come sedersi, camminare, accavallare le gambe, indossare dei pantaloni, andare in bicicletta, fare sport e avere rapporti sessuali.
Oltre a condizionare le abitudini e la quotidianità, questa patologia può avere un impatto importante sulla psiche, le emozioni, l’autostima, le relazioni e la vita sessuale di coloro che ne soffrono.
La vulvodinia si caratterizza per la presenza di allodinia, ovvero di un dolore generato da uno stimolo che, in condizioni normali, sarebbe innocuo e incapace di provocare alcun tipo di sensazione dolorosa.
Tale percezione di fastidio o dolore può essere spontanea oppure provocata. Nel primo caso bruciori e fastidi sono perennemente presenti, mentre nel secondo insorgono in seguito a una sollecitazione: durante un rapporto sessuale, ma anche con l’applicazione di creme o col solo contatto con la biancheria intima.
Può manifestarsi sia in forma generalizzata, coinvolgendo tutta la vulva, che localizzata, quando il dolore riguarda una parte specifica. Ad esempio, si può parlare di vestibolodinia quando a essere interessato è il vestibolo vulvare, mentre la clitoralgia si verifica se il dolore è concentrato nella regione del clitoride. Esistono anche varianti miste di vulvodinia, caratterizzate dalla coesistenza di più sintomi.
Questa patologia si presenta soprattutto in età fertile, ma può comparire anche in altri periodi della vita di una donna, dalla pubertà alla menopausa. Ad esempio, la vulvodinia disestetica o essenziale è la forma più comune nel periodo post-menopausa e si manifesta con un dolore che si estende fino al retto e alla zona uretrale, oltre che vulvare.
Così come i sintomi, anche il decorso e la durata della vulvodinia possono essere variabili: può protrarsi per mesi o per anni, ma anche sparire spontaneamente e ripresentarsi in maniera del tutto casuale oppure, come nel caso della vulvodinia episodica, insorgere nuovamente a seguito di un evento traumatico.
“È importante chiarire che il dolore vulvare non è sempre indicativo di vulvodinia. Spesso, può essere causato da una serie di altre condizioni, tra cui eventi traumatici, infezioni oppure problemi dermatologici, neurologici, oncologici o ormonali. Tuttavia, se il fastidio e il dolore persistono per un periodo superiore ai tre mesi senza che sia possibile identificare una causa specifica, in tal caso potrebbe trattarsi di vulvodinia”, ha commentato la Dottoressa Valeria Fiorenza Perris, Psicoterapeuta e Clinical Director del servizio di psicologia online e società Benefit Unobravo. “Nonostante l’oblio e lo stigma che ancora troppo spesso la circondano, la vulvodinia non è né una condizione rara, né, tantomeno, un disturbo da sottovalutare. Nella maggior parte dei casi, questa condizione incide in modo significativo sulla qualità di vita delle donne che ne soffrono, influenzandone profondamente la quotidianità, le abitudini e le relazioni interpersonali, con particolari implicazioni sulla sfera sessuale, che spesso risente in modo considerevole di questa condizione. Nelle sue manifestazioni più acute, la vulvodinia può divenire invalidante, impedendo lo svolgimento di semplici azioni quotidiane e implicando la rinuncia al lavoro, alla vita sociale e alla sessualità”, ha aggiunto la Dott.ssa Fiorenza Perris.
Da cosa può originare la vulvodinia?
La vulvodinia è una condizione complessa con un’origine multifattoriale, ancora non del tutto compresa dal punto di vista della sua progressione fisiopatologica. Ciò significa che spesso non può essere attribuita a una singola causa, ma è piuttosto il risultato dell’interazione di diversi fattori. Questi possono agire in sinergia, soprattutto quando il disturbo persiste nel tempo e non viene affrontato in modo adeguato.
Le donne che soffrono di vulvodinia presentano alterazioni della risposta infiammatoria e dell’attività muscolare vulvo-perineale.
Ad oggi non è stata identificata una causa univoca ma ci sono diversii fattori che possono concorrere all’insorgere della vulvodinia, come l’ipercontrattilità della muscolatura vulvare e perianale, l’iperattività dei mastociti, l’iperstimolazione delle terminazioni nervose coinvolte nella percezione del dolore, infezioni vaginali e vescicali croniche o recidivanti e lesioni dei nervi pudendi derivanti dal parto o da traumi.
Anche l’ipertono del pavimento pelvico rientra tra le cause della vulvodinia. Il dolore alla zona vulvo-perineale può, infatti, innescare uno spasmo della muscolatura pelvica e amplificare la sensazione di fastidio e sofferenza.
La vulvodinia può anche essere influenzata da fattori predisponenti e aggravanti, come disturbi urinari e ginecologici infiammatori, rapporti sessuali in condizioni di scarsa o assente lubrificazione, secchezza vaginale, abuso di antibiotici, uso di prodotti per l’igiene non appropriati, disordini immunitari, neuropatie, traumi e fattori psicosessuali o relazionali. Tutti questi elementi possono contribuire al complesso quadro della vulvodinia.
Vulvodinia: le cause psicologiche
A causa dell’assenza di evidenti lesioni cliniche, la vulvodinia è stata per lungo tempo classificata come una malattia psicosomatica o, addirittura, psicogena. Tuttavia, negli ultimi anni, con l’avanzare della conoscenza e l’evoluzione dei modelli neuropatici, la comprensione e il trattamento di questo disturbo sono notevolmente migliorati.
“Nel corso degli anni, la vulvodinia è stata erroneamente etichettata come una condizione di origine psicologica. Questa misconcezione è in parte dovuta al fatto che spesso non sono evidenti lesioni cliniche o anomalie fisiche rilevanti nelle aree genitali delle donne che ne soffrono. La mancanza di segni visibili ha, quindi, portato a ipotizzare che il dolore fosse puramente frutto dell’immaginazione o di difficoltà psicologiche. È, invece, fondamentale guardare alla vulvodinia come a un disturbo complesso, che coinvolge una serie di fattori, tra cui elementi fisici, biologici ed emotivi. I fattori psicologici possono sicuramente influire sulla percezione del dolore e sulla sua persistenza nel tempo, ma non ne sono la sola causa. Il fatto che l’insorgere di problemi fisici possa essere, almeno in parte, riconducibile alla psiche, non significa che non sia una condizione reale, con una base biologica e neuropatica.
Come tutte le patologie con sintomatologia dolorosa, anche la vulvodinia è influenzata da pensieri, emozioni e comportamenti. La percezione del dolore, se prolungata, può influenzare il sistema nervoso a tal punto da far sì che il dolore assuma un ruolo centrale e che si manifesti indipendentemente dalla presenza o meno di uno stimolo doloroso esterno. Il dolore non è, quindi, generato dalla mente, ma piuttosto è la mente ad essere influenzata e plasmata dall’esperienza di dolore cronico.
Convivere col dolore causato dalla vulvodinia può, inoltre, costituire una fonte aggiuntiva di stress e contribuire all’’iper-reattività muscolare, creando un ciclo complesso e difficile da interrompere. Infatti, se, da un lato, lo stress può contribuire all’insorgenza e all’aggravamento dei sintomi della vulvodinia, dall’altro lato, la vulvodinia, con i suoi sintomi dolorosi e la loro persistenza nel tempo, può generare un notevole stress personale.
Infine, i traumi, gli abusi sessuali, la familiarità con i disturbi psicologici e della sfera sessuale e la ruminazione che può verificarsi a seguito di eventi traumatici, sono alcuni tra gli altri fattori psicologici che potrebbero causare una maggiore predisposizione alla vulvodinia”, ha dichiarato la Dottoressa Valeria Fiorenza Perris.
L’impatto della vulvodinia sulla psiche: dal dolore fisico a quello emotivo.
“La vulvodinia ha un impatto significativo anche sul piano psicologico, influenzando profondamente il benessere e la qualità di vita delle donne che ne soffrono. Trattandosi di una patologia per lungo tempo ignorata e, ancora oggi, spesso sottovalutata, minimizzata o erroneamente considerata come di origine psicosomatica, spesso coloro a cui viene diagnosticata si sentono incomprese, emarginate e giudicate. Molte donne affette da vulvodinia pensano di essere ‘difettose’ o ‘rotte’, con importanti implicazioni sull’emotività, la percezione di sé e l’autostima. Nei casi più gravi, queste ripercussioni psicologiche potrebbero scatenare la depressione reattiva. La vulvodinia ha di frequente un impatto negativo anche sulle dinamiche relazionali. È, infatti, piuttosto comune che coloro che ne sono affette provino disagio e senso di colpa nei confronti del partner, evitino alcune situazioni sociali, si sentano incomprese dagli altri e sperimentino un senso di isolamento e chiusura in sé stesse.
La vulvodinia ha forti ripercussioni anche sulla sessualità e sulla vita di coppia. I forti dolori che questa patologia comporta durante i rapporti sessuali inibiscono il piacere e il desiderio legati all’attività sessuale. Sovente la donna arriva a rifuggire completamente le occasioni di intimità, generando a sua volta disagio nel partner, che si sente rifiutato e spesso non comprende cosa provi la compagna. In altri casi, invece, la donna sceglie di proseguire con l’attività sessuale, nonostante il dolore, provocandosi delle microlesioni, che peggiorano ulteriormente la situazione. In entrambi i casi, la vulvodinia impone un peso notevole sulla sessualità e sulla relazione di coppia”, ha commentato la Dottoressa Valeria Fiorenza Perris, Psicoterapeuta e Clinical Director di Unobravo.
Vulvodinia: l’importanza di ricevere una diagnosi precoce e accurata.
Sebbene si tratti di una condizione tutt’altro che rara, la comunità scientifica ha iniziato ad approcciarvisi solo negli ultimi vent’anni. Nel 2003 la vulvodinia è stata catalogata come patologia, ma è stata riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità soltanto nel 2020. in Italia ciò non è ancora avvenuto. Questa patologia, così come la neuropatia del pudendo e altre forme ancora meno note che colpiscono la zona pelvica, non è considerata ufficialmente un disturbo medico ed è per questo ancora marginalizzata, per non dire esclusa, dal Sistema Sanitario Nazionale. Nell’aprile del 2022 è stata presentata in Senato una proposta di legge per far sì che la vulvodinia venga riconosciuta ufficialmente e inclusa nei livelli essenziali di assistenza del SSN. La richiesta di maggiori tutele è arrivata proprio dalle pazienti con vulvodinia, che soffrono i cosiddetti “dolori senza voce”, come loro stesse li hanno definiti. La vulvodinia è stata, infatti, per anni vissuta da coloro che ne sono affette come un “segreto”, una patologia invisibile, un disagio psicofisico silenzioso, privo di evidenza scientifica e, quindi, di soluzione.
Ancora oggi, nonostante questa patologia stia avendo un’eco mediatica importante e maggiori attenzioni dalle istituzioni, sono ancora moltissime coloro che ricevono una diagnosi di vulvodinia in ritardo o non la ricevono affatto e che, di conseguenza, non hanno accesso a cure adeguate.
La diagnosi è spesso ostacolata da diversi fattori, tra cui la limitata conoscenza di questa patologia, anche da parte degli operatori sanitari, ma anche dalla difficoltà sperimentata da molte donne nell’affrontare un argomento tanto intimo e delicato con il proprio medico. Questa incapacità di esprimersi e confrontarsi apertamente può essere causata dal pudore, dall’imbarazzo o dal timore di sentirsi “diverse”, “strane” o “anormali”, ma anche dalla possibile reticenza del personale sanitario a trattare argomenti legati alla sessualità. Tutto ciò contribuisce a far sì che la vulvodinia sia tutt’oggi una condizione sottostimata, poco indagata e che di frequente giunga all’attenzione di specialisti adeguatamente preparati con notevole ritardo rispetto alla sua insorgenza.
La diagnosi della vulvodinia si basa su un processo di esclusione di altre patologie vulvari. La condizione è considerata probabile quando i sintomi persistono da almeno 3-6 mesi, non vi sono lesioni evidenti associabili ad altri disturbi o infezioni, e il semplice tocco dell’area genitale induce un dolore acuto.
La diagnosi è effettuata mediante lo SWAB TEST o “test del cotton fioc”. Con il bastoncino di cotone viene esercitata una lieve pressione su tutta l’area del vestibolo e della vulva. Il test risulta positivo quando, invece di una normale reazione, la paziente sperimenta un intenso bruciore, dolore e alterazione della sensibilità. Una volta ottenuta la diagnosi, è fondamentale che il medico o il ginecologo abbia una conoscenza adeguata di questa patologia e interpreti accuratamente i sintomi della paziente, così da poterla indirizzare verso il trattamento più adatto alle sue esigenze.
Oggi, grazie a questa metodologia diagnostica, è finalmente possibile identificare la vulvodinia e prospettare una terapia mirata alle pazienti. Poter offrire una diagnosi tempestiva e accurata è un grande traguardo. Fino a poco tempo fa, questa condizione veniva diagnosticata con un ritardo medio di oltre quattro anni e mezzo, e ciò faceva sì che le donne affette da questo disturbo, oltre che sofferenti da un punto di vista fisico, fossero anche profondamente demotivate e provate a livello psicologico, a causa di anni di incomprensioni, diagnosi errate da parte dei diversi specialisti consultati e tentativi di cura falliti. Infatti, nonostante ogni storia clinica sia a sé, sono purtroppo molti i punti che accomunano le storie delle donne con vulvodinia: l’eccessivo ritardo diagnostico, le cure costose e spesso inefficaci, l’impossibilità di trovare specialisti competenti nella propria città o regione e la quasi totale assenza di professionisti convenzionati con il SSN.
“La diagnosi precoce e accurata della vulvodinia è il primo, ma fondamentale, passo per poter sconfiggere questa patologia e ridare una vita normale e dignitosa alle donne che ne sono affette. Per molte ricevere una diagnosi rappresenta una vera liberazione: finalmente è possibile dare un nome al proprio malessere, uscire da quello stato di incomprensione che spesso accompagna chi è affetta da vulvodinia e sentirsi validate, capite e supportate. La diagnosi consente, inoltre, di avviare tempestivamente un trattamento specifico per la malattia e limitare, così, le conseguenze che questa condizione può avere sul benessere psicofisico e sulla qualità di vita di coloro che ne soffrono. Identificare il disturbo quando è ancora a uno stadio iniziale permette di iniziare terapie mirate, che possono ridurre il dolore e migliorare la gestione dei sintomi, fornendo un sollievo significativo”, ha commentato la Dottoressa Valeria Fiorenza Perris.
Vulvodinia: guarire si può!
“Nonostante i tanti progressi compiuti negli ultimi anni, delle malattie di genere si parla ancora troppo poco, lo stigma è molto radicato e ci sono ancora troppi pochi professionisti sanitari competenti in materia. I centri per le malattie vulvari che impiegano specialisti in vulvodinia si contano sulle dita della mano e sono principalmente concentrati nel nord Italia. Sia nel pubblico che nel privato le liste d’attesa sono spesso lunghissime e le cure molto costose. È, però, urgente continuare ad ampliare la divulgazione e creare sempre più occasioni di sensibilizzazione, affinché patologie come la vulvodinia e coloro che ne sono affette smettano di essere invisibili agli occhi della società e delle istituzioni. Le donne che soffrono di questa patologia non devono rassegnarsi, ma, anzi, essere consapevoli che la vulvodinia è una condizione trattabile e superabile. Con una diagnosi tempestiva e un approccio terapeutico multidisciplinare e personalizzato è possibile lenire i sintomi della vulvodinia e, in moltissimi casi, guarirne”, ha commentato la Dottoressa Valeria Fiorenza Perris.
Dopo la diagnosi, diviene, infatti, più semplice individuare la terapia corretta che, però, non è univoca e dipende dalle varie concause che hanno determinato l’insorgenza della patologia. Infatti, così come non esiste una sola origine alla vulvodinia, allo stesso modo non esiste un’unica terapia valida per tutte. Un approccio personalizzato e multidisciplinare è risultato essere vincente nel trattamento di questa patologia. L’approccio multidisciplinare comporta che più specialisti – come ginecologo, ostetrica, osteopata, sessuologo, fisioterapista, posturologo, neurologo e psicologo, a seconda dei casi e del quadro clinico della paziente – collaborino al fine di affrontare la malattia da diversi punti di vista, agendo simultaneamente su più fronti. Non è raro dover intraprendere diversi percorsi terapeutici prima di trovare il più adatto o la combinazione più efficace per il proprio caso. Ogni donna risponde soggettivamente e con i propri tempi, per questo è importante affidarsi a professionisti competenti, capaci di osservare e adattare la terapia sulla base delle reazioni della paziente.
“Per curare la vulvodinia è fondamentale intervenire sulla malattia a diversi livelli: farmacologico, fisioterapico, alimentare e psicologico. Innanzitutto è necessario spegnere l’interruttore del dolore. Qui entrano in gioco gli antidepressivi o antiepilettici, le creme anestetiche e i miorilassanti: tutti farmaci da assumere rigorosamente sotto controllo medico e che, a bassi dosaggi, agiscono sul dolore neuropatico. Una parte fondamentale del trattamento è, poi, la fisioterapia, che va a concentrarsi sulla riabilitazione del pavimento pelvico. Con l’apprendimento di esercizi specifici mirati è possibile rafforzare i muscoli pelvici, contribuendo al sollievo dai sintomi. Anche l’alimentazione gioca un ruolo importante: una dieta equilibrata, che regoli la flora intestinale e impedisca il passaggio dei batteri in vagina, può aiutare a ridurre l’infiammazione ed evitare le infezioni ricorrenti. Si consiglia di favorire alimenti ricchi di fibre per prevenire la stipsi e di evitare cibi che possono causare infiammazioni, come lieviti, zuccheri, glutine e latticini. La componente psicologica è anch’essa cruciale: la terapia psicologica offre, infatti, un supporto essenziale per gestire il disagio emotivo legato alla malattia. Questa terapia può anche essere condotta online, per garantire un accesso più agevole alle pazienti”, ha dichiarato la Dottoressa Valeria Fiorenza Perris di Unobravo.
Psicoterapia: un sostegno prezioso al trattamento della vulvodinia.
“La terapia psicologica rappresenta un sostegno prezioso alle pazienti affette da vulvodinia, sia in fase di diagnosi che durante tutto il percorso terapeutico. Con l’aiuto dello psicologo o dello psicoterapeuta è, infatti, possibile affrontare le diverse sfaccettature della condizione, investigando anche gli aspetti psicologici e relazionali. La storia personale della donna, il suo vissuto emotivo, l’impatto della sintomatologia sulla qualità della sua vita, sull’autostima, sulla sfera relazionale e sessuale sono tutti aspetti su cui si concentrerà il terapeuta per poter definire uno spazio specifico di ascolto, condivisione, accoglienza ed espressione.
Per prima cosa, intraprendere un percorso psicologico, in parallelo al trattamento organico, può aiutare le pazienti a comprendere meglio la vulvodinia, favorire l’accettazione della malattia e la sua cronicità, riducendo il carico emotivo legato a questa condizione. Inoltre, anni di dolori nevralgici acuti possono mettere il sistema nervoso simpatico e parasimpatico a dura prova, attivando uno stato di continua allerta. La terapia può aiutare le donne affette da vulvodinia ad affrontare meglio questi traumi quotidiani e a gestirne le continue le sfide. Infine, la vulvodinia spesso influenza profondamente la relazione con il partner e la sfera sessuale, creando incomprensioni, tensioni e frustrazioni. La terapia di coppia può aiutare entrambi i partner a comprendere meglio la situazione e a trovare nuove strategie per mantenere una connessione intima e appagante. Con Unobravo, ad esempio, è possibile intraprendere percorsi di terapia online con psicologi e psicoterapeuti specializzati in sessuologia o terapia di coppia. La psicoterapia online garantisce una maggiore accessibilità a coloro che sono affetti da patologie invalidanti o che limitano la mobilità, come la vulvodinia.
Con il giusto supporto, qualsiasi condizione può essere affrontata. Ciò che conta è avere pazienza, essere gentili con sé stesse e affidarsi a professionisti competenti. Con il tempo e l’attenzione appropriata, sono moltissime le donne che riescono a liberarsi dalla vulvodinia e a ricominciare a vivere appieno”, ha concluso la Dottoressa Valeria Fiorenza Perris, Psicoterapeuta e Clinical Director del servizio di psicologia online e società Benefit Unobravo.
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