Secondo la scienza diventiamo ciò che indossiamo e sul luogo di lavoro viene ancora premiato chi sceglie l’eleganza.

Marilyn Monroe diceva “i tacchi alti fanno diventare una donna il 25% più dominante, il 50% più sicura di se stessa e il 100% più sexy”. E’ solo una tra le tantissime citazioni celebri dedicate alle scarpe col tacco e a quanto facciano sentire “meglio” le donne che le indossano. Da Victoria Beckham che ammette di indossare sempre il tacco 12 perché senza “non riesco a concentrarmi” alla fashion editor Anna Dello Russo che le consiglia come antidepressivo perché  “ti mettono sempre in uno stato d’animo migliore, più sei depressa, più è alto il tacco che devi indossare”.

I maligni (gli uomini) penseranno che siano tutte scuse per comprare un numero sempre maggiore di scarpe, e invece per una volta è la scienza ad essere decisamente dalla parte delle shopaholic. Secondo l’Effetto Priming infatti, “quando si indossa un capo di abbigliamento, solitamente si adottano le caratteristiche ad esso associate, stimolando il cervello a comportarsi in modo coerente con l’outfit prescelto”.

E’ quanto è emerso da uno studio condotto dalla Dottoressa Karen Pine, professoressa di psicologia alla University of Hertfordshire e fashion psychologist, e riportato poi sul Dailymail. Lo studio, che prevedeva di far indossare una t-shirt di Superman a un campione di studenti, ha dimostrato che coloro che indossavano la maglia del supereroe, rispetto agli altri, si sentivano più attraenti e migliori dei compagni, ottenendo punteggi più alti in specifici test mentali. In sostanza secondo la professoressa Pine, i lavoratori non solo sono ciò che indossano, ma diventano ciò che indossano poiché i processi mentali e le percezioni vengono influenzate dal significato simbolico attribuito inconsapevolmente a ciò che vediamo.

Se quindi è normale sentirsi più sicure con un paio di scarpe sexy e più “performanti” con una maglia da supereroe, bisogna anche assicurarsi che quello che indossiamo coincida con la nostra personalità, perché “sentirsi a proprio agio nell’abbigliamento scelto è un fattore che alleggerisce stress e nervosismi” spiega Marina Osnaghi, la prima Master Certified Coach in Italia “ogni ambiente di lavoro ha un dress code che va compreso e condiviso per poter fungere da biglietto da visita decodificabile dal contesto esterno. La digital image rappresenta oggi un importante elemento distintivo di ogni leader di successo, quindi studiare il proprio abbigliamento in funzione dell’immagine che si ha di se stessi e che si vuole trasferire diventa parte del successo dell’azienda”.

Perciò nel momento in cui si sceglie un’occupazione, è importante capire se il dress code imposto in quel determinato ambiente è compatibile con la nostra personalità, per esempio chi odia la cravatta, potrebbe non sentirsi a proprio agio nel lavorare in ambito finanziario.

Ma è ancora così? Esistono ancora i rigidi dress code aziendali che impongono giacca e cravatta per gli uomini e tailleur per le donne e che fungono da divise contemporanee standardizzando l’outfit dei lavoratori di tutto il mondo?

Secondo Stefano Bigi, amministratore unico di Bigi Cravatte Milano, la risposta è negativa perché “in un mondo del lavoro sempre più unconventional, in cui l’individualità del singolo ha un peso maggiore rispetto alla schematizzazione e l’uniformità aziendale, non ha più senso applicare delle regole ferree all’abbigliamento”, e a sostenere la teoria di Bigi ci sarebbero tanti esempi illustri, i nuovi manager di successo che inneggiano a un look più easy chic, come Mark Zuckerberg e l’ex presidente Barack Obama che hanno l’abitudine di indossare sempre gli stessi modelli di abiti o Steve Jobs che fece del look casual un marchio distintivo.

E allora perché decidere di puntare ancora una volta sull’eleganza? Perché, come diceva Oscar Wildenon avrai una seconda occasione per fare una buona prima impressione” ed è  significativa in questo senso la ricerca “Social benefits of luxury brands as costly signals of wealth and status” pubblicata sulla rivista Evolution and Human Behaviour nella quale si dimostra, attraverso una serie di esperimenti, come chi veste in modo professionale ed elegante possa suscitare un trattamento favorevole godendo di differenti benefici: stipendi più alti, maggiore collaborazione da parte dei colleghi e più raccomandazioni.

E se le donne che vestono in modo provocante e aggressivo possono venire giudicate negativamente da altre donne, specie se occupano posti di rilievo nelle aziende, gli uomini che indossano abiti fatti su misura possono essere percepiti molto più sicuri di sé e affidabili rispetto a uomini che indossano abiti non sartoriali, come riportato dal Journal of Fashion Marketing & Management.

E attenzione anche al colore che “rappresenta una componente estremamente importante nella scelta di abiti e accessori” come spiega ancora Stefano Bigiperché cattura, prima di ogni altro fattore, l’attenzione del nostro interlocutore. Il consiglio è sempre quello di non eccedere indossando colori sgargianti o accessori troppo stravaganti”. Capito, Regina Elisabetta?

E quindi come affrontare l’eterno dilemma: meglio comodi e casual o eleganti e di successo? Secondo Marina Osnaghi “Non bisogna dimenticare che il ‘vestito’ più potente che si ha siamo noi, l’essenza, la personalità, i valori, le competenze che, essendo necessario veicolare verso chi ancora non ci conosce, si possono trasferire attraverso uno studio attento del proprio abbigliamento, strettamente connesso all’immagine.”