Questo articolo è iniziato come una breve didascalia del reel girato durante la cena del 31 marzo al Montelombroso di Milano. Quando tuttavia ho esaurito i 2.200 caratteri ammessi da Instagram, ho capito che ciò che stavo scrivendo non era più una caption e, nonostante mi fossi recato a cena per piacere e non per lavoro, il mio flusso di pensieri non poteva che essere verbalizzato.

A costo di essere una voce fuori dal coro (anche se al momento è anche l’unica, non avendo alla pubblicazione di questo articolo ancora letto null’altro in merito), mi sento di condividere la mia onesta considerazione.

Ho partecipato alla serata del 31 marzo di Gelinaz!, format che si propone il rispettabile obiettivo di spingere chef e ristoratori fuori dalla propria zona di comfort al fine di riflettere su alcuni aspetti della professione, in questo caso il tema era il ruolo della musica nel fondersi in maniera omogenea e risaltare la proposta gastronomica di fine dining.

Al momento della prenotazione il menù è segreto, così come tutto ciò che ruota attorno, l’unica cosa che si sa è il costo, €140 bevande escluse, e il numero di ospiti, 20.

Andiamo quindi a scoprire il l’occulto menù sviluppato dallo chef Nicola Bonora per la serata e servito in tavola dal solerte e silenzioso personale abbigliato in tuta protettiva, in un bombardamento con sonorità elettroniche a diverse intensità a sottolineare il gusto della relativa pietanza, composte appositamente da Daniele Mana, e mentre tre performer rappresentavano questo angoscioso mondo al cui tavolo ci trovavamo a desinare, con la flebile speranza fosse l’alba di una nuova era.

 

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Per iniziare, una insalata di seppia, ovvero una lattuga (invidia belga?) affogata in una sapida salsa di seppia e coronata da un agre condimento sferificato.

A seguire, piatto di ceci e gamberi, un paio di gamberi spezzettati insieme al proprio carapace fritto, su un cuscino di purea di ceci.

Quindi i piatti centrali del nostro desco. Un cuscino della Belle Aurore, arcaica ricetta dalla complessa preparazione che si può sintetizzare in un pasticcio di 10 carni in crosta di pane, seguito in un crescendo dalla Trans Gèline, nemmeno molto implicito tributo al nome del format, null’altro che un elastico (per non dire gommoso) pollastro alle erbe servito sulla sua zampa, e culminato in un fin troppo saporito, nomen omen, Salsiccia, patate e birra.

Quando pensavo finalmente di lenire la bocca con un dolce, ecco che insieme a un guanto di lattice, viene servito il Geranio e Elicriso un unto spaghetto aglio e olio dove il pungente bulbo è stato sostituito dal mordace sapore erbaceo della foglia di elicriso. Ça va sans dire, da desinare con la mano guantata.

Con l’improvviso termine della sessione musicale di 90 minuti, è giunto anche il dolce. Un kebab. Dove la carne è stata sostituita da una crema di cioccolata. Il resto, spezie e verdure, come da ricetta originale. Il culmine della più disgustosa cena che abbia mai assunto nella mia vita e tempo di riscattare il cappotto e prendere attivamente la via dell’uscita.

Dopo tutto questo preambolo, il succo della considerazione. Non voglio fare una critica gastronomica di piatti che dietro hanno una preparazione laboriosa, ma che in alcuni casi a mio avviso non riusciti sotto il profilo organolettico. Concordo che l’obiettivo della cena fosse l’uscire dalle zone di comfort e valorizzare la musica di sottofondo, ma qui si è toccato l’altro estremo, rendere la musica preponderante a una intensità che non permette di conversare con i commensali, rendendo di fatto un pasto a un tavolo condiviso, un’esperienza che di vive da soli in compagnia. Senza peraltro considerare gli effetti che gli alti decibel hanno sulla composizione chimica del cibo e, attraverso l’ingestione, sullo stato psico-somatico dell’avventore.

L’esperienza multisensoriale è tutt’altro che una novità nel fine dining, la mia mente va subito al Sublimotion di Ibiza o l’Ultraviolet di Shangai che offrono un’esperienza immersiva ben più pervasiva. È evidente che in questo caso abbia prevalso la voglia non di sperimentare, ma di scioccare, vedi la zampa di gallina. Anche questo già visto a ben altri livelli di perfezione artistica e gustativa, all’Alchemist in Copenhagen.

Quando ci si concede un piatto d’autore, ci si aspetta un piacere dei sensi, se si va a casa con un senso di irrequietezza e disgusto, ritengo il desinare non abbia raggiunto il suo scopo. Se questa è l’alba di un nuovo mondo, per favore mettete immediatamente fine alle mie sofferenze.