Jointly e Modus hanno dato vita all’Osservatorio Jointly Balance, un attento lavoro di analisi di quanto emerso dall’utilizzo del servizio Jointly Balance, con l’obiettivo di analizzare concretamente l’impatto che un programma di benessere organizzativo ha sulle persone, ma anche sull’azienda stessa in termini di engagement e di crescita di valore.
L’Osservatorio ha analizzato, dal 2020 ad oggi, un campione statisticamente rappresentativo di 500 persone che hanno usufruito del servizio di counseling aziendale, portando alla luce come un supporto psicologico all’interno dell’azienda svolga una funzione di ascolto delle persone, e di comprensione delle loro problematiche, fondamentale per supportare il benessere e l’engagement dei dipendenti e dell’azienda stessa.
“Il beneficio di adottare all’interno della propria azienda una serie di strumenti di ascolto è quello di evitare l’insorgere o il peggioramento di situazioni di malessere individuale, affrontando tempestivamente i segnali e intervenendo a sostegno. È ormai consolidato che l’investimento in strumenti e pratiche di benessere organizzativo, anche a supporto dei dipendenti, favoriscono l’engagement dei lavoratori. il servizio che combina counseling e supporto psicologico alle persone è da considerare parte integrante di una strategia più ampia per ascoltare e comprendere i propri collaboratori e affrontare meglio le nuove sfide organizzative e di business. Le aziende non possono più fingere che tutto sia come prima, oggi il lavoro deve essere organizzato al fine di far star bene i propri dipendenti, perché il malessere ha ripercussioni negative sul modo di lavorare, e sul fatturato dell’azienda stessa a seguire. Adottare strumenti di benessere organizzativo permette di creare un ambiente di lavoro positivo“. (Anna Zattoni, Founder e Presidente Jointly).
“Dai colloqui fatti, con un’analisi aggregata e nel pieno rispetto della privacy – spiega Mauro Tomè, psicologo, psicosocioanalista e presidente di Modus – emerge chiaramente come la gestione delle relazioni sul luogo di lavoro sia uno dei temi principali di chi avvia un percorso di counseling. Per far stare meglio le persone quindi, oltre ad aiutarle a riflettere su di sé e sulle proprie capacità di azione nel contesto, è necessario anche restituire feedback all’azienda e accompagnarla in un processo di maturazione organizzativa; altrimenti, queste azioni di supporto, rischiano di restare fine a sé stesse e di essere poco utili ed efficaci sia per le persone sia per le imprese stesse”
Da aprile 2020 a luglio 2023 centinaia di persone distribuite in tutto il territorio nazionale hanno fatto richiesta del servizio Jointly Balance e hanno fruito di un primo colloquio di supporto e orientamento con un counselor-psicologo (il 51% delle persone che ne hanno avuto l’opportunità). Il 77% delle persone che ha svolto il primo colloquio ha attivato il successivo percorso di counseling di tre colloqui. Altri hanno ulteriormente proseguito – o stanno proseguendo – in ulteriori percorsi di counseling o sono stati indirizzati in altre forme di supporto.
La maggioranza delle persone che hanno usufruito del servizio sono donne (il 64%), concentrate nella fascia tra 30 e 50 anni di età e in larga maggioranza con figli e con un partner. In ampia misura si tratta di persone che svolgono funzioni impiegatizie, ma accedono in misura significativa anche manager e dirigenti; anzi, si sta registrando un progressivo aumento dell’accesso di questi ultimi.
Al momento della richiesta le motivazioni relative il lockdown rappresentavano l’7,8%, con punte più elevate a ridosso della pandemia. In seguito al colloquio di orientamento tale percentuale si è ridotta al 2%.
L’iniziale richiesta di gestire questioni relative il lockdown (nella fase iniziale) o generici stati di ansia e stress – vissuti come un disagio, ma anche come campanello d’allarme per qualcosa che non andava in ambiti diversi di vita – ha messo in luce molto altro, tant’è che le tematiche di fatto affrontate durante gli incontri hanno ambiti diversi.
I problemi personali coprono inizialmente il 42,4% fino ad arrivare al 46,5% nel 2023, i problemi relazionali personali passano dall’11,3% al 16,2%. Diminuiscono i problemi di tipo professionale organizzativo (da 19,5% a 17,5%) e relazionali lavorativi (da 18,9% a 17,8%).
Per il 35% dei fruitori dei percorsi le tematiche sono state di tipo lavorativo, in misura prevalente inerenti al proprio ruolo, nel senso di difficoltà a svolgerlo per cambiamenti interni all’azienda o difficoltà nel definire tempi e spazi di lavoro ben separati da quelli domestici; cambiamenti che talora hanno inasprito problematiche e difficoltà pregresse nel proprio lavoro e all’interno del team. A questo si aggiungono spesso questioni di riconoscimento e valorizzazione del proprio contributo in azienda.
Nel resto dei casi si è trattato di situazioni relative alla sfera personale, con tematiche e risvolti diversi (46,5%). Dinamiche famigliari talvolta esacerbate dai cambiamenti di contesto e, in misura decisamente maggiore, il desiderio di chiedersi se davvero la vita che stiamo vivendo sia quella che avremmo voluto, spinti da incertezze e accadimenti destabilizzanti. All’interno di questi, solo una minima parte (il 7% complessivo) dei percorsi attivati riguardano problematiche strettamente cliniche e di disagio, derivanti da disturbi o situazioni personali e familiari particolarmente complesse.
Addentrandosi nell’analisi colpisce un dato: per oltre un terzo delle persone (il 34%) le tematiche, personali o lavorative, presentavano marcati tratti di problematicità relazionale (rapporti con capi/collaboratori, con i familiari, con i colleghi, ecc). La lontananza fisica dai propri colleghi e dall’azienda ha reso difficoltoso il lavoro e fatto emergere problematiche come il senso di abbandono, di insicurezza del proprio ruolo professionale ma anche – a livello più personale – il senso d’isolamento e solitudine, con il ripensamento delle relazioni in diversi ambiti.
“Le modalità e le forme del lavoro cui siamo abituati da generazioni sono state fortemente sollecitate – ha dichiarato Francesca Rizzi, amministratore delegato di Jointly – Oggigiorno la funzione sociale del luogo di lavoro come costruzione di legami e ambito di socializzazione è messa in discussione, ruoli e compiti spesso cambiano con velocità inconsuete, il lavoro in remoto rende vane le normali forme di indirizzo e controllo. Lavoratori e manager nelle aziende stanno cercando nuove soluzioni ed equilibri: a volte sono movimenti e sperimentazioni rapidi, come anche testimoniato dal fatto che molte aziende dopo un ricorso massiccio allo smart-working durante il periodo pandemico e nel post-pandemia stanno rivedendo le proprie posizioni. Nello stesso tempo, le generazioni più giovani testimoniano stili di vita diversi, orientati a trovare equilibri e “bilanciamenti” diversi tra lavoro e vita. Non dimentichiamo, peraltro, che abbiamo visto aumentare le situazioni di sofferenza, incertezza, insicurezza, ansia e stress delle persone. Dalla ricerca Jointly Voice, che Jointly ha condotto in collaborazione con il l’Università Cattolica di Milano analizzando nel tempo un campione rappresentativo di 30 mila lavoratori, è emerso come ben l’80% dei lavoratori vorrebbe ricevere dalla propria azienda un aiuto e un sostegno per la propria sfera privata. E quando l’azienda sa rispondere in maniera puntuale e personalizzata, l’engagement aumenta fino al 30%”.
Durante il lockdown molte aziende hanno messo in campo un insieme di azioni che potremmo definire di “empatia organizzativa”, dimostrando cioè vicinanza e attenzione per le dimensioni psicologiche, mentali e relazionali, e della salute dei propri collaboratori, minacciati dal senso di precarietà e insicurezza della pandemia. Questo senso di vulnerabilità avrà impatti di lunga durata anche nel mondo del lavoro e le aziende sanno di non poterlo sottovalutare.
“Il benessere dei collaboratori è stato riconosciuto dai manager italiani tra le priorità strategiche per rispondere in maniera efficace alle nuove sfide organizzative e le aziende che hanno una strategia di wellbeing ben definita possono registrare un aumento fino al 18% dell’ebitda (dato Mckinsey)- precisa Rizzi. – Forse il più importante impegno di “empatia organizzativa” consiste nel valorizzare e costruire nuovi stili e modelli di leadership e di comunicazione. Occorre una leadership supportiva, meno invasiva e orientata a “contenere” preoccupazioni e pensieri dei propri collaboratori, ma non a sostituirsi ad essi, in grado di utilizzare anche le nuove tecnologie di comunicazione. L’esperienza maturata negli ultimi quattro anni da Jointly conferma che – accanto ai tradizionali problemi del disagio nei contesti lavorativi – le persone sempre di più ricercano vicinanza, rispecchiamento con la propria azienda. Un nuovo “patto” di engagement basato su valori comuni e rispetto reciproco, che è particolarmente sentito dalle donne lavoratrici, i giovani e i neoassunti”.
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