L’opera è ambientata in una Pechino di un tempo imprecisato, ove la crudele principessa Turandot, continua a mietere vittime fra i suoi spasimanti. Unica prova per conquistare la sua mano è rispondere correttamente a tre enigmi, pena la morte.
E’ la volta del principe Calaf che, ammaliato dalla bellezza infelice della principessa, con grande apprensione dei presenti, pretende di sottoporsi alla prova. Stupore e incredulità, anche della principessa, nel vedere Calaf sciogliere con successo tutte e tre le questioni e riuscendo a svelare a Turandot la potente energia dell’amore vero.
Ambientazione fiabesca, preservando l’origine letteraria di questa Opera, ma minimalista, quella creata da Raimund Bauer su direttiva del regista, Nikolaus Lehnhoff. Irrealtà sottolineata in particolare nei costumi creati da Andrea Schmidt-Futterer per la principessa Turandot.
Com’è noto, Puccini non riuscì a terminare l’opera, quindi ve ne sono varie versioni. In questo caso, è stata la volta del finale di Luciano Berio del 2001, sul quale permane la “classica” critica relativa ai finali di quest’Opera, ovvero un finale che si svolge troppo veloce rispetto al ritmo del resto dell’Opera.
Direzione eccelsa dell’orchestra da parte di Riccardo Chailly. Purtroppo ciò che ha stonato sono i protagonisti, non all’altezza delle parti loro assegnate, troppo bassi, a tratti incomprensibili. Si provano quindi sentimenti contrastati al temine, davvero un peccato.
Direttore editoriale di No#News Magazine.
Viaggiatore iperattivo, tenta sempre di confondersi con la popolazione indigena.
Amante della lettura, legge un po’ di tutto. Dai cupi autori russi, passando per i libertini francesi, attraverso i pessimisti tedeschi, per arrivare ai sofferenti per amore, inglesi. Tra gli scrittori moderni tra i preferiti spiccano Roddy Doyle, Nick Hornby e Francesco Muzzopappa.
Melomane vecchio stampo: è chiamato il fondamentalista del Loggione. Ama il dramma verdiano così come le atmosfere oniriche di Wagner. L’opera preferita tuttavia rimane la Tosca.