Il Teatro alla Scala, nel cartellone del balletto, ha deciso di portare in scena un trittico di balletti creati sulle note dei celebri Ravel, Bizet e Rimskij-Korsakov.
Assistiamo quindi a La Valse, un poema coreografico scritto da Ravel al termine del primo conflitto mondiale, che contrappone le atmosfere spensierate e festose dei valzer viennesi straussiani alla decadenza di un mondo bruto sempre in lotta.
La coreografia di Ballone, Gavazzi e Messina punta sull’astrazione scenica in cui gli interpreti comunica la tensione e la dinamica della partitura con uno stile moderno. Dobbiamo dire che per quanto riguarda questa performance, siamo rimasti alquanto insoddisfatti dall’esecuzione che è risultata inaccettabilmente spesso fuori tempo.
Si prosegue sulle note di Symphony in C, un lavoro giovanile di Bizet (probabilmente una lavoro scritto all’età di diciassette anni come compito durante i suoi anni di studio al Conservatorio di Parigi) riscoperto e apprezzato solo a metà del secolo scorso.
Assistiamo alla coreografia ideata da Geoge Balanchine, che vede l’alternarsi in scena di quattro gruppi di ballerini, uno per movimento, fino al gran finale che vede protagonisti tutti e 48 gli elementi con le quattro coppie di primi ballerini che competono a bravura in un’arena creata dal semicerchio del corpo di ballo. Abbiamo gradito questa esecuzione che, seppur non perfetta dal punto di vista tecnico, è risultata molto piacevole dal punto di vista estetico e tutto sommato fluida nell’esecuzione.
Il gran finale è riservato a Shéhérazade, suite sinfonica composta dal russo Nikolay Rimsky-Korsakov e ispirata alle Mille e una Notte.
La coreografia ideata da Scigliano stravolge completamente l’idea del racconto con un messaggio che muta al drammatico. Ci troviamo nell’harem del Sultano Shāhrīyār, le atmosfere sono tristi e cupe, spiccano subito sui vestiti delle donne le macchie di sangue. Durante l’assenza del sultano, ha luogo un’orgia che vede protagonista l’intero gineceo con lo Schiavo d’Oro, cui seguirà un amore vero e intenso con la schiava Zobeide. Tornato dalla caccia, il sultano scopre Zobeide a terra, ancora nuda dopo l’amplesso. Ha così inizio il massacro di tutte le odalische, per sfuggire al quale Zobeide propende per il suicidio. Compare ora in scena Shéhérazade che spogliandosi della veste in metallo, trova la forza di sottrarsi alla schiavitù.
Siamo rimasti piuttosto delusi da questa triste reinterpretazione in chiave negativa della celebre novella che da avvio al noto libro di storie, a nostro avviso stridente con le sonorità oniriche di un amore orientale, la cui interpretazione diretta da Jarvi, inoltre, ha mancato in alcuni passaggi di pienezza. Tristemente è stato totalmente rovesciato il messaggio dell’opera, ripreso dallo stesso autore nell’introduzione al proprio componimento:
Il Sultano Shāhrīyār, convinto che tutte le donne fossero false ed infedeli, giurò di mettere a morte tutte le sue mogli dopo la prima notte di nozze. Ma sua moglie Shahrazād si salvò intrattenendo il suo signore con dei racconti affascinanti, raccontati in serie, per mille e una notte. Il Sultano, roso dalla curiosità, procrastinava di giorno in giorno l’esecuzione della moglie, e finalmente ripudiò il suo voto sanguinario.
Direttore editoriale di No#News Magazine.
Viaggiatore iperattivo, tenta sempre di confondersi con la popolazione indigena.
Amante della lettura, legge un po’ di tutto. Dai cupi autori russi, passando per i libertini francesi, attraverso i pessimisti tedeschi, per arrivare ai sofferenti per amore, inglesi. Tra gli scrittori moderni tra i preferiti spiccano Roddy Doyle, Nick Hornby e Francesco Muzzopappa.
Melomane vecchio stampo: è chiamato il fondamentalista del Loggione. Ama il dramma verdiano così come le atmosfere oniriche di Wagner. L’opera preferita tuttavia rimane la Tosca.