Dopo l’anteprima di Capodanno, Emanuele Conte e Michela Lucenti hanno portato in prima nazionale al Teatro della Tosse di Genova Il maestro e Margherita, con repliche fino all’11 febbraio.

Frutto di una collaborazione che vanta più di un precedente nei fortunati Orfeo rave e Eurydice, lo spettacolo, liberamente ispirato al capolavoro russo di Bulgakov, parte dal romanzo per poi approdare in un linguaggio scenico totale, dove la danza e il canto raccontano, accompagnando la recitazione e spesso sostituendosi ad essa. Si tratta del primo spettacolo della trilogia La parola che danza al Teatro della Tosse, cui seguiranno Bad Lambs dal 13 al 15 febbraio e Nell’aere/Inferno #5 il 17 e 18 febbraio, entrambi firmati dal Balletto Civile, collettivo nomade in residenza al teatro genovese dal 2015, guidato dalla talentuosa Lucenti che, tra l’altro, qui interpreta Margherita.

Lo spettatore pregusta un’atmosfera solforosa non appena varca i tendoni di ingresso della sala Trionfo, venendo accolto da un ilare Azazello che si aggira per i sedili, e dalle note di un pianoforte posto sul proscenio, che continuerà a suonare durante lo spettacolo, animato da Gianluca Pezzino, il gatto Behemoth per la scena, il cui pregevole intervento canoro da falsettista nel corso dell’opera si vuole qui segnalare.

All’apertura del sipario, si assiste ad un cortometraggio animato dagli acquarelli dai toni freddi di Paolo Bonfiglio, pittore piemontese autore delle tele esposte venerdì 9 febbraio dopo l’evento teatrale, nella sala La Claque del teatro. La serata è infatti proseguita con musica dal vivo ad opera di Filo Q e Tiziano Scali, autori delle musiche della pièce, accompagnati dalla viola di Raffaele Rebaudengo, che insieme hanno creato un’ambientazione sonora ideale per i dipinti, riproponendo pezzi ispirati al romanzo, uno su tutti Sympathy for the Devil dei Rolling Stones. Il corto, tra le contaminazioni del film muto e lo stile pittorico dal taglio verticale e neo espressionista, che ricorda le bocche spalancate di Francis Bacon, racconta, in questi termini di disfacimento e ricomposizione del corpo ingentiliti dal sapore retrò delle didascalie, il romanzo incompiuto del Maestro, portando quindi avanti la traccia narrativa dell’incontro tra il procuratore Ponzio Pilato e Jeshua Ha-Nozri.

Ma è Woland stesso, nella persona di Maurizio Camilli, che, showman e mattatore, cattura definitivamente la platea: inscenando lo spettacolo di prestidigitazione del romanzo, vanamente ostacolato dal bravo Pietro Fabbri nel ruolo del direttore del teatro Rimskij, si rivolge direttamente ai singoli spettatori, mentre i danzatori si spargono tra il pubblico con sinuose movenze serpentine, per stordirli infine con una pioggia di banconote sulle note del penetrante ritornello Pago cash. Spaccone ma anche filosofico, goliardico come può essere solo chi sa più degli altri, Woland non è un burattinaio, ha desideri e vanità, dà motore a pensieri e situazioni, ma sta anche a guardare, spettatore dell’uomo, e si lascia andare in considerazioni al chiaro di luna riguardo la propria esistenza, necessaria perché possa esistere la luce. Perché, a guardar bene, il sorriso della Luna è un’ombra.

Infine, la grandezza di Margherita e della sua interprete, Michela Lucenti, regista e coreografa dello spettacolo. Dopo essere travolta da un lirico ballo d’amore che celebra l’unione con il Maestro, e a seguito della sua trasformazione, come Grimilde, in strega, dà il meglio di sé durante il volo onirico e suggestivo sui cieli di Mosca, quando intona una conturbante ed isterica versione di Volare impugnando un microfono-scopa. E a noi sembra proprio di vederla sopra le nostre teste, esaltata ed incredula, vorace e delicata, divenuta Margot, nella sua nuova identità. Altro punto alto che la vede protagonista, la dichiarazione d’amore al Maestro sulle note di Mon manège a moi.

Inno all’istintività, l’opera parla un linguaggio scenico totale, contaminato da ogni forma espressiva, e attraverso interventi solisti e coralità, danza e fisicità, coinvolge la platea, anche grazie ai danzatori che svolgono un lavoro che va oltre l’interpretazione, in cui le qualità di ognuno si fondono a creare l’esito complessivo. La scrittura drammaturgica, di Conte ed Elisa d’Andrea, si districa bene tra i complessi livelli del romanzo, e le scelte che compie risultano funzionali alla storia che ci viene mostrata. Lo spettatore è bersaglio di stimoli visivi e sonori, viene trasportato in cambi di ambientazione efficaci e scene composte da elementi evocativi, che, abilmente intrecciati tra loro, si completano nella narrazione.

Per ora non sono note altre date dello spettacolo, ma si sta pensando ad una possibile tournée. L’appuntamento è domani sera con Bad Lambs, secondo capitolo della ricerca su un teatro sintesi della comunicazione tra arti diverse.