Un’altra delusione per i melomani come me. L’apertura della stagione operistica del Teatro alla Scala ha visto proposto un Fidelio che, nell’ennesimo spasmodico tentativo di attualizzare la storia, è stato privato della sua anima.
Fidelio, unica Opera composta da L.W. Beethoven, che narra la lotta per la felicità, di Leonora, la quale si traveste da uomo e si fa chiamare Fidelio, per penetrare nella prigione ove il governatore Don Pizzarro tine ingiustamente imprigionato il suo amato, Florestan. Un’Opera che manifesta nuovamente la forza ed il carattere di una donna, che non si lascia scoraggiare dalle avversità, ed anzi, affronta di petto le difficoltà per il bene del proprio amato.
Il tenore dell’Opera messa in scena è stato chiaro da subito. Sin da quando si è alzato il sipario, rivelando una Marcellina in felpa con cappuccio rosa, dietro ad un’asse da stiro intenta a stirare il bucato, contornata da uno scenario industriale caratterizzato da blocchi di cemento, caschi da muratore e salopette.
Gli interpreti sono risultati, senza alcuna eccezione, sotto tono dal punto di vista canoro e relativamente poco espressivi dal punto di vista scenico. Penso che il “Bravo, Maestro!” urlato al temine dell’opera sia dovuto al fatto che l’unica cosa che si è salvata è l’interpretazione musicale, diretta dal maestro Barenboim, opinabile resta la scelta della Overture Leonora 2 (prima versione delle quattro, composta per la prima del 1805 andata in scena proprio presso il teatro Scaligero).
Giudizio finale? Condivido i pensieri di Paolo Isotta espressi in questo articolo comparso su Corriere.it, e me ne vado a casa stanco e deluso…
Direttore editoriale di No#News Magazine.
Viaggiatore iperattivo, tenta sempre di confondersi con la popolazione indigena.
Amante della lettura, legge un po’ di tutto. Dai cupi autori russi, passando per i libertini francesi, attraverso i pessimisti tedeschi, per arrivare ai sofferenti per amore, inglesi. Tra gli scrittori moderni tra i preferiti spiccano Roddy Doyle, Nick Hornby e Francesco Muzzopappa.
Melomane vecchio stampo: è chiamato il fondamentalista del Loggione. Ama il dramma verdiano così come le atmosfere oniriche di Wagner. L’opera preferita tuttavia rimane la Tosca.