Il trittico delle opere monteverdiane si conclude con la rappresentazione al Teatro alla Scala, de L’Incoronazione di Poppea in coproduzione con l’Opéra National de Paris.

Un’opera che narra l’amore fedifrago tra l’imperatore di Roma Nerone e Poppea, amata da Ottone. Nerone promette a Poppea che troverà il pretesto per divorziare dalla moglie Ottavia e sposare Poppea, confrontandosi sui suoi piani con Seneca. Il filosofo tuttavia rimprovera a Nerone la relazione extraconiugale, decretando la propria morte. Intanto Ottavia e Ottone, afflitti dal tradimento dei rispettivi amanti, pianificano un attentato alla vita di Poppea, che però viene sventato dall’intervento di Amore. Il tentativo di omicidio, fornisce a Nerone il pretesto per esiliare i due amanti ed incoronare Poppea imperatrice di Roma.

L’aggettivo che più si rincorre nella mia mente ripensando alla rappresentazione de L’Incoronazione di Poppea andata in scena in questa stagione al Teatro alla Scala è essenziale. Essenziale e minimalista è stata la scenografia, con la quale il regista Robert Wilson tenta di rapire lo spettatore per trascinarlo in un mondo onirico, nel quale si svolge una storia i cui personaggi indossano splendidi costumi d’epoca ed hanno tutti la pelle di un bianco cadaverico.

Essenziale è anche l’orchestra diretta, da dietro la tastiera del clavicembalo, dal maestro Rinaldo Alessandrini, composta da una decina di musicisti.

Interpretazione tutto sommato buona, per un’opera non semplice da interpretare, così come da seguire, che purtuttavia ha riscosso il gradimento del pubblico Scaligero.