“Qualunque cosa, in un qualunque momento, in qualsiasi luogo – per nessun motivo in particolare”
Questo meraviglioso aforisma di Zappa racchiude tutto il suo atteggiamento verso la musica, e quindi verso la vita in generale.
Canzone da accompagnare alla lettura: Son of Mister Greengenes
Qualunque cosa, in un qualunque momento, in qualsiasi luogo – per nessun motivo in particolare
Questo meraviglioso aforisma di Zappa racchiude tutto il suo atteggiamento verso la musica, e quindi verso la vita in generale. Per Frank la musica fu sempre assoluta libertà, sperimentazione sfrenata, gioco senza limiti e fonte di inesauribile di umorismo.
In un’epoca dove molti musicisti attribuivano alla propria opera un peso sociale e politico, ebbe il coraggio di proporre una musica che è puro divertissement, costruzione meravigliosa e fine a sé stessa, insomma: l’arte per l’arte. Nel corso della sua lunga carriera, Frank non si stancò mai di esplorare: dal rock surreale e quasi demenziale delle origini, quando suonava in testa ai Mothers of Invention; agli arrangiamenti elaborati della superba trilogia jazz, fino a The Perfect Stranger, che è a tutti gli effetti musica classica moderna; tutto ciò senza mai perdere quello spirito ironico e dissacrante. Sarebbe difficile interpretare la sua produzione, sconfinata e monumentale, se lo stesso Zappa non ci avesse dato una mano attraverso la sua autobiografia, un vero e proprio testo sacro che dovrebbe essere studiato nelle scuole.
Varietà
La prima caratteristica saliente dell’opera di Zappa che analizzeremo è la varietà. Quando lo si ascolta per la prima volta, è la prima cosa che emerge: l’ascoltatore si trova quasi travolto di fronte all’esuberanza delle sue intuizioni, ai cambi di tempo, alla ricchezza della strumentazione, alle costruzioni melodiche ardite e spericolate, agli arrangiamenti elaborati; composizioni orchestrali jazz nelle quali zappa incede mollemente nel modo lidio per creare atmosfere morbide e sognanti (Little Umbrellas, For Calvin (And His Next Two Hitch-Hikers) lasciano il posto a pezzi veloci e corrosivi (Willie the Pimp); ballate addirittura vagamente orecchiabili (Camarillo Brillo) e composizioni barocche e concettuose (G-spot Tornado). Una simile ricchezza di idee, che rende la sua musica tanto peculiare, viene da una capacità unica che Frank aveva di leggere, assorbire e rielaborare numerosi linguaggi musicali diversi. In parole povere, riusciva in maniera del tutta intuitiva a cogliere gli elementi fondamentali che caratterizzano una composizione o un modo di fare musica, e utilizzarli nelle proprie composizioni.
Questi elementi fondamentali possono essere il timbro e la scelta degli strumenti, il ritmo, la progressione degli accordi; Frank chiama un certo insieme caratteristico di elementi modulo standard. Frank era abilissimo nell’inserirli nelle proprie composizioni, imprimendo al pezzo una sfumatura o una suggestione particolare; e non era certo schizzinoso nella scelta del materiale. Colonne sonore di telefilm, sottofondi di pubblicità, sonorità tratte da band contemporanee, tradizioni etniche o generi musicali; tutto veniva impiegato nel calderone di Zappa. Ma alcune delle sue influenza più importanti venivano dalla musica colta: fin da giovanissimo il suo compositore preferito era Edgar Varèse, dal quale trasse due elementi fondamentali del suo stile: l’enfasi sul timbro e sugli strumenti a percussione. Pare che il giovane Frank, quando invitava un amichetto a casa, lo sottoponesse al Varèse test: lo costringeva ad ascoltare quella musica strana, piena di suoni inquietanti e disarmonici.
Se l’amichetto gradiva, era accolto con tutti gli onori; altrimenti, restava un amico, ma di scarso conto e stima, insomma, di serie B. Altra importantissima influenza fu Stravinskij, coi suoi svolazzi ritmici e la sua capacità di costruire composizioni formalmente perfette ignorando qualunque regola armonica. Da questi musicisti, Frank trasse una importante lezione di libertà. Del resto, uno dei suoi motti era “senza deviazione della norma, il progresso non è possibile”. Ma aggiunge immediatamente dopo “Se si vuole deviare con efficacia, bisogna conoscere la norma che si vuole deviare”. In un’epoca di sperimentatori con scarsa coscienza teorica, Zappa si proponeva di creare qualcosa di assolutamente nuovo con una chiarissima coscienza delle regole armoniche, anche quelle che detestava.
Insomma, anche se del tutto autodidatta, Frank era a tutti gli effetti un compositore colto. Grazie alla propria fortissima e innata (stiamo comunque parlando di un genio) comprensione dei meccanismi teorici che regolano la musica, Frank era in grado di utilizzare elementi di varie e diversissime tradizioni e generi musicali nella stessa composizione, e armoniosamente; il tutto al fine di costruire un nuovo linguaggio. La produzione di Zappa è disseminata di centinaia di citazioni, talvolta addirittura veri e propri inserimenti, a mo’ di collage.
Riesce difficile non fare un paragone col cubismo, e in generale l’arte del 900’. L’utilizzo della citazione come strumento espressivo è una tecnica estremamente moderna, e Zappa la utilizza con uno scopo sorprendente, ma ben preciso: farci ridere.
L’umorismo appartiene alla musica?
I “moduli” di cui parla Zappa, come accennato, fanno riferimento ad archetipi musicali che sono già nella nostra memoria uditiva. Non è detto che li sappiamo indicare precisamente quando li ascoltiamo, ma li riconosciamo; in un certo senso fanno parte della nostra cultura. Quando Zappa li usa nelle canzoni, fa riferimento a qualcosa che conosciamo, spesso storpiandolo: dialoga con lo spettatore, che riconosce il modulo, la cui deformazione produce un effetto comico.
Ad esempio Eat that Question, superba jam di forte sapore fusion, si chiude con la ripresa del tema principale sotto forma di una specie di grottesca marcia militare, che contrasta fortemente con i voli pindarici e gli assoli del piano elettrico e della chitarra che dominano quasi tutta la canzone. Ma l’interrogazione sulla capacità umoristica della musica è una vera e propria ossessione in Zappa. Non vuole creare una musica semplicemente ridicola, bensì una musica che abbia una vera e propria carica comica. Il tema della risata è centrale nella vita di Zappa; secondo Nigey Lennon, chitarrista nei Mothers e amante di Zappa, “rideva sempre… non troppo sguaiatamente ma di gusto. Frank rideva anche quando faceva sesso”.
Da questa carica di ilarità la musica di Zappa trae lo slancio vitalistico che la rende tanto potente. Gli strumenti con cui la insegue sono numerosi: l’utilizzo dei moduli, l’accurata scelta dei suoni, fra cui persino onomatopee e rumori, i testi demenziali. I testi di Zappa parlano letteralmente di qualunque cosa: papponi, transessuali, cocainomani, cowboy, guerre tra musicisti, religiosi, cucine, verdure, alieni; tutto il reale diventa qualcosa su cui ridere, una costante sorgente di ridicolo: una risata che non è una satira moraleggiante, ne ha l’amarezza del cinismo, ma è puro scherno fine a sé stesso. Specialmente, viene praticata quella che Zappa stesso definisce “antropologia amatoriale”; ritratti di umani, calati in situazioni surreali che ne fanno emergere la stupidità; si gioca ancora sugli stereotipi, su archetipi culturali, tipi da commedia.
A detta di Steve Vai, famoso chitarrista virtuoso che ebbe la fortuna di lavorare con Zappa (che fu peraltro colui che lo scoprì e lo rese famoso), l’atmosfera che si respirava quando Zappa era in tour era quella di un circo; i suoi musicisti, preparatissimi, erano personaggi eccentrici. Tutta la produzione di Frank, sia nell’aspetto musicale/formale, che nei testi, nelle dichiarazioni e nel modo di presentarsi, è pervaso da una carica dissacrante, un gusto al rovesciamento, un continuo schiaffo in faccia al perbenismo. Sempre Nigey ricorda che Zappa “adorava fare tutto ciò che non si può fare. L’energia di Frank era perversa”.
Ma com’è che Zappa voleva ottenere questi effetti nella sua musica? La risposta può essere sorprendente: attraverso un rigore e una disciplina che non ha precedenti nella musica della sua epoca.
L’ossessione per la perfezione: mettere le sopracciglia
“Per le mie composizioni adotto un sistema di pesi e misure, equilibri, tensioni e rilasci, simile per molti aspetti all’estetica Varèse. Le analogie sono più comprensibili se paragoniamo gli stili a un oggetto mobile di Calder: una roba come-diavolo-la-volete-chiamare, variopinta a penzoloni nel vuoto con grosse gocce di metallo collegate a pezzi di filo elettrico, ingegnosamente in equilibrio con piccoli chicchi di metallo infossati dall’altra parte. Varése conosceva Calder ed era affascinato dalle sue creazioni. Nel mio caso, quindi, dichiaro che “una massa consistente di QUALSIASI MATERIALE ne bilancerà una più piccola e densa di QUALSIASI MATERIALE, secondo la lunghezza dell’oggetto sul quale oscilla e del punto d’equilibrio scelto per facilitare questa oscillazione.”
Questo estratto della biografia è così interessante che valeva la pena di metterlo per intero. Il paragone della composizione con una macchina, le cui componenti sono in equilibrio grazie a un ingegnoso artificio rivela molto della tecnica compositiva Zappiana; interessante anche il fatto che la macchina in questione è completamente inutile: Calder le intendeva come sculture, opere d’arte. Un equilibrio del quale bisogna godere per il semplice fatto che c’è, ed è appeso al vuoto.
Zappa aveva un grande talento nel costruire intricate progressioni melodiche scopertamente dissonanti (Little Umbrellas, Streectly Genteel) e creare unità ritmico-melodiche solide solo per scuoterle, deformarle, farle collassare (The Grand Wazoo). La cura nell’arrangiamento è maniacale, e i brani cercano sempre di superarsi in continui guizzi e artifici; insomma, una musica che nella sua godibilità e apparente leggerezza, è estremamente complicata. Ma non basta: una volta che abbiamo la nostra composizione, ben pesata e bilanciata nelle sue parti, viene il processo che Frank chiama “mettere le sopracciglia”: in sostanza, dare una caratterizzazione al pezzo, fare sì che esprima un atteggiamento, una direzione emotiva ben precisa.
Per dare caratterizzazione al pezzo, Zappa dispiega tutti i suoi strumenti: i “moduli” di cui abbiamo già parlato, una scelta maniacale di timbri, strumenti e onomatopee presi dalla “grande enciclopedia dei suoni”; in studio, tecniche di registrazione e montaggio innovative e ingegnose; in sala prove, riflessioni su uno spunto, una qualunque direzione possibile, a volte anche solo un errore, per esplorare tutte le possibili strade da percorrere per dare un senso a una melodia (“Ogni stecca ripetuta due volta è l’inizio di un arrangiamento”). Inutile dire che Zappa era considerato un vero e proprio tiranno, con il quale era insopportabile lavorare.
Nonostante la sua verve comica, Frank aveva una altissima considerazione della propria musica, ed esigeva assoluto rigore esecutivo e disciplina nei suoi musicisti; addirittura, se uno di loro veniva beccato a fumarsi uno spinello durante il tour, Zappa lo cacciava immediatamente. Spesso si lamentava della difficoltà nel fare eseguire la musica che scriveva, e se durante un concerto avveniva anche solo un minimo errore, rimaneva infuriato ed irritato per tutta la serata; verso la fine della sua carriera, questa insoddisfazione lo portò a utilizzare il computer per comporre musica. Ma se è vero che Zappa aveva una cura maniacale della propria musica, è sbagliato vederlo come un “dittatore”. Lui stesso si considerava il preside di una sorta di scuola di musica, dove, sotto la giusta pressione e in un clima di durissima disciplina, poter fare emergere il meglio da ogni musicista.
Non è raro che scrivesse composizioni specificatamente costruite su misura dello stile di un singolo musicista. Dunque, i mezzi ricercati da Zappa per il raggiungimento di una sua personale perfezione furono numerosissimi; la sua musica fu l’altare al quale consacrò la propria vita, inseguendo la perfezione per tutta la carriera, cambiando mezzi, musicisti, generi, prospettive, e senza mai dare nulla per scontato. E a giudicare dai risultati, ne valeva la pena.
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