È difficile spiegare quanto la Premiata Forneria Marconi sia stati importante per la musica italiana.
Protagonisti assoluti di una vera e propria età dell’oro, quella del progressive rock italiano degli anni 70’, vantano una carriera che si estende per ben cinque decadi. Decenni nei quali hanno fatto di tutto: suonato al buio pesto, scritto canzoni in una notte, calcato palchi di tutto il mondo, aperto per i Deep Purple, diviso il palco con gli Emerson, Lake &Palmer, suonato la chitarra di Santana, lavorato con De André, fatto addirittura un concertino per la regina. Di fatto, sono la prima vera band italiana, e i primi in assoluto a fare un tour in un paese che all’epoca vedeva i festival nazionali come il massimo dell’intrattenimento musicale. Nel corso degli anni hanno attraversato vari stili, rimanendo in qualche modo sempre a galla. Ma gli anni passano, e sarebbe anche comprensibile che dei titani come i PFM si tirassero fuori dalla scena. Del resto dopo tanti capolavori e tanti anni di attività, la stanchezza si sente.
L’ultimo vero album in studio, Serendipity, risaliva ormai al lontano anno 2000: negli anni successivi la band ha lavorato a colonne sonore (Dracula Opera Rock) e lavori sperimentali, come PFM in Classic, dove reinterpretano capolavori della musica classica con la fantasia e il gusto che li distinguono, o Stati d’immaginazione, un ambizioso progetto che unisce musica strumentale e sequenze video. Anche se la PFM non ha mai smesso di girare il mondo facendo concerti, il silenzio cominciava a farsi un po’ pesante. Quando nel 2015 Franco Mussida, membro fondatore e storico chitarrista del complesso, rende nota la sua decisione di lasciare la band, sarebbe stato lecito aspettarsi che dopo tanti anni di onorato servizio la PFM deponesse gli onorati strumenti e si sciogliesse. Ma così non accade: Franz di Cioccio e Patrick Dijvas, i veterani, ricostituiscono la band con nuove, coraggiose leve e vecchi amici (nelle parole di Dijvas “Siamo come il Real Madrid che può cambiare il centravanti senza indebolirsi.”). E due anni dopo, nell’ottobre del 2017 il nuovo disco, Emotional Tattoos, ha la sua genesi, e un tour mondiale seguirà nel 2018. Una delle tappe è Legnano, il 12 maggio: ed è proprio lì che noi di NoNews li siamo andati a sentire.
Tatuaggi emozionali
È ovvio che chi si aspetta con Emotional Tattoos un ritorno al glorioso progressive di Storia di un minuto o Per un amico rimanga deluso sentendo il nuovo album. Ma sarebbe una richiesta fuori luogo: innanzitutto i tempi sono cambiati, ma sarebbe anche assurdo pretendere dai PFM le stesse prestazione dei tempi in cui scrivevano canzoni dello spessore di La carrozza di Hans nel giro di una notte. Eppure la band, arricchita di elementi giovani, mostra ancora quell’entusiasmo e quella freschezza di un gruppo di ragazzi innamorati della musica. In effetti, se c’è una cosa che apprezzo della PFM è il fatto di parlare moltissimo di musica e pochissimo di amore. Del resto nel corso della sua lunga storia, la grandissima competenza dei musicisti è stata una costante assoluta. Certo, le parti strumentali sono decisamente meno complesse del solito; ma la cura dell’arrangiamento è sempre elevata, e particolarmente prezioso è il contributo della new entry Marco Sfogli, chitarrista formidabile (Patrick commenta “ha imparato tutti i brani in una settimana, non so come abbia fatto”) che anima tutto il disco con i suoi assoli ispirati; è evidente l’influenza di Petrucci, leggendario chitarrista dei Dream Teather, che peraltro ha sempre amato i PFM e dichiarato più volte di avere un forte debito verso di loro; forse, tramite questo allievo, può dire di averlo in parte restituito. Il disco scorre fra atmosfere sognanti e serene, con qualche momento carico e drammatico. Il disco è ben realizzato e ispirato, gli arrangiamenti sono belli, i musicisti, come sempre, tecnicamente preparatissimi: ma possiamo davvero dire che ci abbia lasciato un tatuaggio emotivo? Di sicuro la band milanese ci ha lasciato segni più profondi. Forse il volere fare “musica per tutti” ha sacrificato l’ardimento e la brillantezza per la godibilità. Certo, si sente il vecchio sintetizzatore moog, strumento speciale nella storia del gruppo (la leggenda vuole che all’epoca la band non potesse permetterselo, ma Franz di Ciocco disse al produttore: regalacene uno e noi renderemo questo strumento famoso in Italia. Fu usato nel ritornello di Impressioni di Settembre, e il resto è storia), si sente divertimento, libertà, amore per la propria musica. È possibile che ai titani della PFM comincino a mancare le energie? Abbiamo cercato di scoprirlo andandoli a sentire al Teatro Galleria di Legnano.
Il grande continente della musica
Dal vivo? È tutt’altra storia. Appena ci sediamo, c’è già un’atmosfera di festa; del resto all’inizia della loro carriera, quando ancora in Italia per suonare esistevano solo sale da ballo e locali, i PFM avevano avuto l’idea di suonare nei teatri, dove potevano fare un minimo di rappresentazione scenica e disporre di luci adatte allo spettacolo. E ancora oggi, come i giovani degli anni 70’ affamati di nuove proposte e cambiamento, noi andiamo a teatro per vedere rappresentato lo spettacolo di una storia di cinquant’anni di musica. C’è qualche volto nuovo, e qualche volto vecchio manca, ma l’energia è la stessa. I musicisti sono mostruosi: tutti polistrumentisti, allenati a suonare in ogni condizione e a improvvisare con verve ed eleganza. Franz sembra ancora un ragazzino, che a settant’anni suonati sale sul palco indossando una t-shirt con su scritto randagio; ogni tanto fa cantare le parti vocali più acute alla nuova leva Alberto Bravin, ma glie lo possiamo perdonare, tanto più che la sua presenza scenica è spaventosa. Lui da Dijvas stanno davanti a tutti gli altri sul palco, vere leggende che provengono dritte e intatte da un passato mitico. Ma tra i musicisti spicca anche il vecchio amico Lucio Fabbri, che suona violino, chitarra e tastiera alternandole come uno scalmanato. Di solito nei concerti quando un artista o una band propongono pezzi nuovi, il pubblico è freddo. “Noi siamo qui per sentire i classici, non sta merda!”, dicono silenziosamente gli applausi spenti e poco convinti. Non è questo il caso: la maestria dei musicisti, gli assoli selvaggi e l’improvvisazione rendono lo spettacolo pura performance musicale, che tiene il pubblico in uno stato di costante euforia.
Certo non mancano i classici: la melodia quattrocentesca di Dove… Quando…, con la sua atmosfera da madrigale e il giro di accordi che ricorda vagamente la Follia di Spagna; Il Banchetto, con il suo inizio solare e spensierato e il testo medievaleggiante, che si dissolve in intermezzi jazz e divagazioni psichedeliche; La carrozza di Hans, canzone leggendaria che parla del tema, tanto caro alla Forneria, del viaggio. Inutile dire che quando si fanno strada i primi delicati accordi di Impressioni di Settembre, il pubblico esplode, per delirare completamente durante il famoso ritornello fatto a sintetizzatore. Se durante i classici dominano le luci pastello rosa e azzurre, da qui in poi saremo cannoneggiati da raggi fotonici gialli ed arancioni, che infiammano pezzi come La Danza degli Specchi, Quartiere Generale e Freedom Square, tutti tratti da Emotional Tattoos. Prima della danza, che è uno dei pezzi più belli del disco, sia per arrangiamento (“Suoniamo in cinque, cinque cose diverse. Eppure stanno insieme.”) che per testo, Franz ci dà una importante lezione sulla libertà della musica. Non ha senso discriminare fra i generi, perché finché la musica è potente e dice qualcosa di sentito, tutta la musica fa parte dello stesso grande continente, una sconfinata Pangea di possibilità espressive. E chi lo ha attraversato di più di un gruppo che, come i PFM, ha attraversato intere epoche e movimenti?
Anni di blues anni di rock, progressivamente anni ribelli
Immaginifici come una tela di Van Gogh
Così è la Prog
Poi disperatamente dance mischiati al punk
Poi fortunatamente funk
Felici di tutto pensieri niente
Con questa vita impertinente
In questo specchio tondo
Corro avanti e indietro per il mondo…
Quartiere Generale è invece l’occasione per parlare del concetto di piazza come luogo di scambio e arricchimento, dove l’uomo realizzarsi ed esprimersi in libertà. Freedom Square continua a riflettere sullo stesso tema, con una melodia energica che ricorda Celebration. Ma la vera bomba dello spettacolo è lo spettacolare rifacimento della Danza dei Cavalieri di Prokofiev, direttamente da PFM in Classic. A sentire Franz, che ormai ci ha preso gusto coi monologhi, tutto sarebbe partito dalla domanda “cosa avrebbero fatto i musicisti del passato se avessero avuto a disposizione gli strumenti elettrici odierni?”. Il risultato è un qualcosa di corrosivo, maligno ed elettrico, ma allo stesso tempo elegante e meravigliosamente di classe, che causa una gigantesca standing ovation da parte del pubblico. Come bis viene suonato Il pescatore di De André, segno i musicisti della Premiata non hanno dimenticato né l’incontro né l’insegnamento di questo grande musicista. A chiudere la tarantella rock n’ roll di È festa/Celebration, nella quale Franz di Ciocco, rivelando ancora una volta grandissima presenza scenica, riesce a far cantare all’intera sala l’inciso Se-le-brescion!!! L’entusiasmo del pubblico, alimentato per tutto il concerto, esplode nelle urla e nell’applauso finale.
Lustra l’abito da re
Molte grandi scoperte della storia dei PFM sono state fatte per caso. Dijvas non avrebbe mai suonato il basso se per caso il bassista dell’epoca non si fosse preso l’epatite, costringendo Patrick a sostituirlo per un periodo (periodo che evidentemente non è mai finito). Mussida non avrebbe mai imparato a suonare la chitarra se suo padre non l’avesse visto fingere di suonarla di nascosto. E come si è detto prima, se il produttore dei moog non si fosse fidato di loro, non avrebbero mai potuto incidere quel capolavoro che è Impressioni di Settembre. Questo per dire che a una band di grandi come la PFM può essere concesso di rallentare, o fare qualcosa sottotono, qualche volta. Se c’è una cosa che questo concerto ha dimostrato, è che la loro passione verso la musica è inesauribile; un entusiasmo adolescenziale che non si quieta mai, e li porta sempre avanti, verso nuovi lidi. Non è forse questa la profezia della Carrozza di Hans?
Strade e strade correrai,
senza contare,
cieli e cieli finirai,
tu sai volare,
suona un corno da cocchiere,
lustra l’abito de Re;
è la carrozza di Hans.
Inutile dire che tutti coloro che vi hanno assistito hanno un segno indelebile sulla pelle, che solo musicisti con la statura di re potevano lasciare.