Il sogno che facevo io in continuazione era quello in cui arrivavo con la nave nel porto di New York e guardavo ammirato i grattacieli.
Quando vedo la sala di lettura principale, zona nord e zona sud, mi cominciano a tremare le ginocchia. Non so se sono le due birre che ho bevuto o l’eccitazione del mio secondo giorno a New York fatto sta che mi viene da piangere a guardare i chilometri di scaffali sapendo che non riuscirò mai a leggere tutti quei libri nemmeno se avessi fino alla fine del secolo.
Se avessi i soldi potrei comprarmi una torcia e leggere fino all’alba. In America la torcia si chiama pila. … Se avessi i soldi potrei comprarmi un cappello e uscire ma così pelato non posso proprio andarmene in giro per Manhattan sennò la gente crederebbe di vedere un paio di spalle smunte con una palla di neve sopra.
New York era la città dei miei sogni ma ora che sono qui i sogni sono finiti e New York non è per niente come me l’aspettavo.
Nella metropolitana vedo gli studenti universitari e sogno che un giorno sarò anch’io come loro, che porterò i miei libri sotto il braccio, ascolterò i professori, mi laureerò con tocco e toga, troverò un posto e andrò al lavoro in giacca e cravatta con la valigetta, ….
È la pria volta in vita mia che qualcuno mi chiede scusa e riesco solo a diventare rosso e borbottare qualcosa stringendogli la mano perché non so come rispondere.
Sono così sconvolto che mi domando se la mia vita sia soltanto una serie di porte sbattute in faccia, così sconvolto che non mi va nemmeno di andare a prendere una birra al Breffni. La gente mi passa accanto per strada e le macchine strombazzano ma io mi sento così spento e solo che i benissimo stare in una cella di prigione.
Non mi va che sappiano che non ho fatto le superiori né che sono cresciuto in un quartiere povero in Irlanda. Mi vergogno del passato a tal punto che l’unica è mentire.
Rispondo così ma quello che mi passa per la testa è tutt’altro. Mi piacerebbe tanto dirgli che sono dei cretini boriosi, che gente della risma loro l’ho conosciuta nell’atrio del Biltimore, che probabilmente buttavano anche loro la cenere della sigaretta in terra per farla pulire a me e mi guardavano come se non esistessi come succede a chi fa le pulizie.
Mamma sapeva che proseguendo per Flatbush Avenue fino all’incrocio con Atalntic Avenue c’erano ancora i bar in cui mio padre perdeva la testa e si beveva tutta la paga, dimenticando i suoi figli. No, nemmeno di quello voleva parlare. …… Il passato è passato e rivangarlo è pericoloso.
Questo libro è il seguito de “Le ceneri di Angela”.
Frank partito dall’Irlanda approda a New York dopo una lunga traversata in mare.
Manhattan è lontana da dove si trova lui, pare quasi un sogno irraggiungibile. Ma Frank è determinato; raggiungerla è il suo sogno sin da quando era un bambino povero e cattolico in Irlanda.
Non è stato facile arrivarci e non saranno i vari intoppi, la mancanza di un lavoro e di denaro sufficiente, le difficoltà di trovarsi in un paese nuovo, che poi tanto nuovo per lui non è dato che a New York ci è nato, a impedirgli di realizzare il suo sogno.
Frank non si lascia scoraggiare, non si arrende di fronte alle difficoltà, anche se spesso risulta impacciato e titubante in alcuni aspetti della vita, poi la determinazione prende il sopravvento e riesce a superare gli ostacoli intralciano il suo cammino verso una vita di riscatto.
Alcuni sogni si realizzano, altri si infrangono, altri si sgretolano alcuni si fermano a metà del percorso.
Personalmente, adoro il modo di scrivere dell’Autore.
La prosa è scorrevole, in alcuni tratti un po’ noiosa, ma anche ironica e profonda.
Spietatamente amaro e riflessivo.
Che paese, l’America
di Frank McCourt
traduzione di: Claudia Valeria Letizia