Tutto bene? Chiese l’uomo. Il bambino annuì. Poi si incamminarono sull’asfalto in una luce di piombo, strusciando i piedi nella cenere, l’uno il mondo intero dell’altro.
Ricordati che le cose che ti entrano in testa pio ci restano per sempre, gli disse. Forse dovresti rifletterci.
Però certe cose uno se le dimentica, no?
Sì. Ci dimentichiamo le cose che vorremmo ricordare e ricordiamo quelle che vorremmo dimenticare.
Le notti erano lunghe, buie e fredde, come mai prima. Un freddo che spaccava le pietre. Un freddo assassino. L’uomo teneva stresso a sé il bambino tremante e contava ogni suo fragile respiro nell’oscurità.
La rivelazione finale della fragilità di ogni cosa. Vecchie e spinose questioni si erano risolte in tenebre e nulla. L’ultimo esemplare di una data cosa si porta con sé la categoria. … Mai è un sacco di tempo. Ma il bambino la sapeva lunga. E sapeva che mai è l’assenza di qualsiasi tempo.
Uscì fuori nella luce livida, rimase lì in piedi e per un attimo vide l’assoluta verità del mondo. Il moto gelido e spietato della terra morta senza testamento.
Quando sognerai di un mondo che non è mai esistito o di uno che non esisterà mai e in cui sei di nuovo felice, vorrà dire che ti sei arreso. Capisci? E tu non ti puoi arrendere. Io non te lo permetterò.
E lui sapeva che stava riponendo le proprie speranze in qualcosa che di speranze non ne dava. Sperava in una schiarita quando con ogni evidenza il mondo diventava ogni giorno più buio.
… Gli si sedette vicino e si mise a piangere senza riuscire a fermarsi. Pianse per un bel pezzo. Ti parlerò tutti i giorni, sussurrò. E non mi dimenticherò. Per niente al mondo. Poi si alzò, si voltò e tornò verso la strada.
Il mondo è stato distrutto da vasti incendi, i prati, le strade sono coperti da uno spesso strato di cenere, gli alberi sono lo spettro di sé stessi, i vasti terreni delle fattorie sono un desolante niente. Non un filo d’erba cresce più, né un frutto, nessun animale vivo. I pesci dai fiumi sono scomparsi. I pochi umani sopravvissuti vagano alla ricerca di qualcosa di commestibile che è rimasto dopo la catastrofe e che nessuno è riuscito ancora a razziare.
Tra i sopravvissuti ci sono un padre e un figlio diretti verso il mare alla ricerca di un posto più caldo, nella speranza che almeno lì il sole riesca a penetrare la grigia coltre di cenere.
Questo libro vi insegnerà che l’essere umano, quando si trova nel pieno di una catastrofe, si schiera in due frazioni opposte: chi porta il fuoco e chi con il fuoco ti brucia. Eppure, però, alla fine ci sarà sempre qualcuno pronto ad aiutare il prossimo, a dividere un pezzo di pane, una coperta, un tetto e a elargire amore e protezione in un modo del tutto disinteressato.
Romanzo struggente, a tratti macabro, duro e senza compassione. Si ha come l’impressione che l’Autore abbia descritto, fin troppo gratuitamente, di quanto l’essere umano possa diventare cattivo, senza compassione e senza rimorso. Anche del protagonista, verso la fine del libro, si avrà la percezione di tanta cattiveria gratuita, la scena sulla spiaggia lascia a dir poco perplessi, ma la paura di non essere abbastanza forti e la paura che qualcosa possa succedere al proprio figlio un po’ lo redime.
Romanzo molto descrittivo a tal punto che si avrà la sensazione di una vista offuscata dal fumo e dalla mancanza di sole e il fiato corto per l’aria irrespirabile.
E se ci trovassimo noi al posto del protagonista, cosa faremmo?
La strada
di Cormac McCarthy
Einaudi (218 pp.)
