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#Non si può rimediare alle ferite dell’anima

Rafael aveva quindici anni quando sua madre morì e lo liberò dalle sue sofferenze.

Vide Nina che veniva verso di lui. Camminava a testa bassa, con le braccia strette intorno al corpo, come se avesse freddo. Rafael si fermò. Lei, chiusa in se stessa, non lo vide.

Me ne sto rannicchiata accanto a lui, ammutolita dall’intensità del caos interiore della ragazza che vedo proiettato sullo schermo come un grido, senza alcun filtro. Noto il terrore nei suoi occhi, perché a quel tempo tutto era possibile, troppo possibile per lei …

«Sappi che ha passato cose terribilmente difficili. Ancora oggi non si può raccontare tutto.»

Ma non poté rinunciare alla cinepresa e, ancora meno, penso, al modo particolare di osservare le cose tipico delle persone che hanno perso qualcosa.

«Cosa c’è che non va in me, Rafi?»

Lui non risponde.

Il filmato finisce.

Io lo riavvolgo.

Lei lo aspettava sempre. È quello il ricordo più forte che ha di quel periodo: una fame costante. Non riesce a ricordare cosa facesse mentre aspettava, ma ancora oggi ha ben presente la sensazione dell’attesa.

Sul viso di Nina passano ondate di affetto, di gioia, di delusione, di tristezza. E sorrisi. Oddio, com’è caloroso e tranquillo e semplice il suo sorriso. … In Nina c’è un misto di ironia e di tristezza, di crudeltà e di tristezza. Quest’ultima c’è sempre. E il colore base dei suoi occhi.

Cosa fa di due persone una coppia? Una scintilla, un legame particolare, un senso di appartenenza, uno sguardo all’apparenza insignificante che indugia per un millesimo di secondo?

C’è un dialogo costante tra noi, in un qualche canale segreto. Talmente segreto che non sappiamo nemmeno che cosa vi venga detto.

Il viso di Nina si illumina di un’espressione di tenerezza infantile che non le ho mai visto. Per una frazione di secondo la bambina che era sta di fronte a quella che ero io.

Secondo noi, Vera si sbaglia. Non ha fatto parecchi errori, però ne ha fatto uno che è bastato per tutta la vita.

Nina sembra sconvolta. Si stringe le braccia intorno al corpo nel suo tipico atteggiamento di solitudine. … E per la millesima volta mi rendo conto che probabilmente non oso capire quanto, malgrado tutto, sia forte e profondo il loro legame.

Vera si stringe nelle spalle. In un gesto crudele e terribile.

Dentro di sé, però, aveva cominciato a provare un senso di gelo e già intuiva che era uno di quei momenti dopo i quali molte cose non sono più le stesse.

La sensazione familiare di aver commesso un errore, di avere fatto una scelta sbagliata, di essere in dissonanza con la realtà – la realtà come tutti la conoscono – si inasprisce dentro di lei.

Un istante lungo, sospeso, come quello che intercorre fra una botta forte e la percezione del dolore, o fra una brutta notizia e il momento in cui la si recepisce, la si assimila. In quella frazione di secondo Vera non avverte nulla, non pensa, ma già sa.

La osservo. Osservo i gesti del suo corpo, le espressioni del suo viso. I piccoli movimenti con cui retrocede, si chiude in sé stessa. Poi, all’improvviso, qualcosa la proietta in avanti. Ma lei torna a retrocedere, imbarazzata e titubante. Il lessico di mia madre.

«No.» aveva risposto lei. E in un certo senso era vero. Ma quello era stato l’inizio di una menzogna che si era ingrandita e si era ramificata fino a soffocare tutti noi.

 

Due madri. Entrambe abbandonano le figlie, l’una in modo diverso dall’altra. La prima fisicamente a seguito di un ideale politico più forte dell’amore materno, l’altra, forse, a seguito di questo ideale a cui non ha mai creduto ma, forse, anche per un amore ancora più grande: quello di non riversare le proprie mancanze affettive sulla figlia, per paura di essere incapace di amare così profondamente la propria figlia ancora prima di sé stessa. E allora, per non farla soffrire tutti i giorni della sua vita l’abbandona donandole un unico dolore.

Nina torna a casa per il compleanno della madre Vera, accolta tra la felicità della stessa, l’odio della figlia Ghili e l’amore immutato di suo marito Rafi.

Per Nina non sarà un semplice ritorno. Dopo anni di peregrinazione per il mondo, lontana, sempre più lontana da tutti, tornerà a casa per farsi raccontare dalla madre quello che era successo in Jugoslavia tanti anni prima, quella mattina in cui lei aveva sei anni e sul marciapiede di casa la vide un’ultima volta prima di rincontrarla dopo tre lunghi anni in cui non seppe mai la verità sulla sua sparizione.

Vera a differenza di Nina è una donna forte, estremamente forte, lo è oggi a novant’anni e lo era quando giovanissima si innamorò di Miloš, lo è rimasta quando torturata e umiliata fu mandata sull’isola di Goli Otok per non essersi voluta piegare al regime e non infangare la memoria di Miloš rinunciando alla propria libertà e al benessere di Nina.

Vera non ha mai raccontato alla propria figlia tutta la sua storia. Nina, già orfana di padre ha sempre avuto voglia di sapere, ne aveva estremo bisogno per colmare l’abbandono che ne è conseguito all’arresto della madre, ma Vera ha sempre vissuto il presente, non si è mai fatta abbattere dal passato, ha vissuto tutto quello che le è capitato come un caterpillar andando incontro alla grande montagna e scavandone una galleria per attraversarla.

Nina è una donna fragile, incompleta, è come una montagna a cui hanno scavato il cuore e lasciato un grande buco, un buco che non le permette di stare in equilibrio lungo la via della vita.

Con coraggio e caparbietà Nina otterrà dalla madre tutta la verità, in un percorso che li porterà, tutti e quattro, a fare un viaggio a ritroso fino all’isola di Goli Otok. Solo alla fine del viaggio Nina si rivelerà la mamma che Ghili non sapeva nemmeno di avere.

Un libro sui rapporti umani, sui traumi che ci condizionano da bambini per tutto il resto della nostra vita, sull’importanza del dialogo, sull’amore incondizionato per un’altra persona, sulle fragilità e la forza di affrontare la vita.

La vita gioca con me di David Grossman, #Non si può rimediare alle ferite dell’anima

La vita gioca con me
di David Grossman
Mondadori (293 pp.)
traduzione di Alessandra Shomroni

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