Non riuscivo a capire come avessi fatto ad arrivare a quel punto. Quando avevo perso il mio lavoro nello studio medico non mi ero preoccupata più di tanto. Mo marito guadagnava abbastanza per entrambi, potevo stare tranquilla, e aspettare che le cose girassero meglio. La verità era che il mio matrimonio stava in piedi come una capannuccia fatta con gli stuzzicadenti già da prima, ma io non mi ero accorta della velocità con cui perdeva i pezzi.
Il Professore restò a lungo in salotto, tutto infagottato, pensieroso, e forse anche un po’ offeso per com’era stato trattato da sua figlia. Me lo ritrovai sulla soglia dello studio mentre venivo a capo delle briciole sotto la scrivania.
Capisco che da parte mia è un segno di debolezza tenere questi reperti in casa, una resistenza inutile al destino. Però ormai sono vecchio, m’illudo di trattenere il tempo in piccoli rimasugli di cui ancora posso sentire il sapore. Ma, come vede, neppure il sapore mi resta…
Le lacrime, d’un tratto, uscirono fluide e inarrestabili. Non facevano male, avevano lo stesso calore delle guance, e cadevano pesanti sui miei vecchi jeans. Era come se fossero una condensa di tante delusioni che finalmente mi lasciavano, le toccavo con un senso di gratitudine.
Ho abitato per tanti anni tollerata come una pattumiera in camera, e manco me ne accorgevo. Ci si sente più soli quando si costruisce una vita apposta per non esserlo.
È un luogo dove ogni pensiero trova lo spazio per decollare, e le grinze dell’anima lentamente spariscono, anche se per poco. – Restò con la testa bassa, aspettando che gli tornassero le energie. – Lì poi c’è tanto mare che dà consistenza e sapore ai ricordi.
Sembrava che si distaccasse dalle cose, in un modo più amaro e sofferto di quello delle Oblate. Le uniche cose di cui pareva non staccarsi erano i «luoghi della mente», e il ricordo di qualche posto di cui conservava un’immagina sua.
Sollevò lo sguardo, come a cercare dei fantasmi, allungò una mano per toccare uno stipite, misurò la larghezza della porta. Capii che alludeva a una marea di ricordi di cui la planimetria della casa era solo la superficie. Poi scosse la testa, si asciugò la fronte e mi disse che era giunto il momento che io mi riappropriassi della mia vita.
«Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori». –
L’aveva sussurrata con me, parola per parola, e mi chiedi perché avesse voluto farmela leggere se la sapeva a memoria. Ma forse è come quando ti piace una canzone, che l’ascolti mille volte per risentirla.
Due solitudini che si incontrano, una fatta di un matrimonio che non esiste più e l’altra dalla vecchiaia e dalla malattia.
Maria Vittoria ingabbiata in un matrimonio dove il silenzio è l’unica cosa che l’accomuna al marito, si presenta tutti i giorni al centro dell’impiego di Livorno in cerca di un nuovo lavoro, dopo che ha perso il suo, ma senza successo fino a che una mattina l’impiegata le fa una proposta insolita: dovrà andare a casa del Professore e leggere. Dapprima le pare quasi uno scherzo, poi, vista la serietà dell’addetta si ricrede.
Mentre si prenderà cura del Professore preparandogli pasti caldi e gustosi, riordinando e buttando ciò che non è più necessario, Maria Vittoria imparerà a prendersi cura di sé stessa. Leggendo le pagine dei vari filosofi, attraverso le loro parole capirà che non tutto è perduto che può rimettere mano alla sua vita e condurla in una direzione diversa, sulla strada giusta.
Tra lei e il Professore si instaurerà non solo un rapporto di lavoro, ma un rapporto più profondo, fatto di consigli non richiesti e non imposti direttamente.
Due solitudini che si fanno compagnia, due persone che attraverso il linguaggio dei filosofi troveranno una pace e una felicità che da molto tempo avevano perso, ma soprattutto la serenità e la speranza di un futuro diverso per ognuno dei protagonisti.
Leggerlo mi ha messo un po’ di malinconia ma mi ha fatto riscoprire la speranza che non sempre tutto è perduto.
Consigliato a chi ama la filosofia e a chi non la conosce ma vorrebbe scoprirla, a chi non vede una via d’uscita a chi non ha perso la speranza in un futuro migliore, a chi si trova impantanato in una vita che non sente sua.
Niente caffè per Spinoza
di Alice Cappagli
Einaudi, 2019 (pp 278)
