Quando Minuccia si inceppava non bastava tirare lo spago o la cordicella perché, proprio come lo strummolo, lei iniziava a girare all’impazzata, e nella sua traiettoria diventava un asso pigliatutto, faceva il gioco della scopa d’assi e della smorfia. Tutto si pigliava, Minuccia bella quando si incantava.
Pasquale Riccio manco si era sforzato di dargli uno sguardo, … E poi aveva sentito una sensazione strana assai, che lo aveva fatto vergognare come un mariuolo: una parte antica del suo corpo aveva una voglia matta di stringersi il figlio addosso per dirgli «bravo»
Uvaspina aveva sempre pensato che la mamma sarebbe stata capace di stare anche cent’anni a raccontare tutte le tradizioni di San Giovanni, ma quella che raccontava più spesso era quella del piombo fuso. La Spaiata andava fiera della sua sapienza ruspante, perché era una femmina pratica che aveva imparato tutto sul campo.
La Spaiata non disse nulla, c’erano momenti in cui non poteva giocare la carta di fingersi morta e viva, doveva solo aspettare e lo sapeva bene: ricordava ancora quella notte in cui se n’era tornata a dormire a testa bassa. L’energia di Minuccia spostava l’aria e il ritmo dei pensieri, era una malìa che faceva solo calare la capa e basta. Per quello, la Spaiata miracoli non ne poteva fare.
C’era un dolore sordo e oceanico che univa lui e la sorella, come se entrambi conoscessero la fonte da cui zampilla il sangue e che esiste dalla notte dei tempi, e che in quel momento si incarnava nella ferita di Uvaspina. Tutti e due volevano qualcosa, in modi diversi, ma non riuscivano ad acchiapparla.
Per la prima volta aveva pronunciato il suo nome. Quel nome che in bocca gli sapeva di acqua viva, sale e imbarazzo. Provò un’istantanea pietà per sé stesso e non riuscì a guardarlo in faccia. … Ma che cosa voleva da lui? Perché perdeva il suo tempo? Perché tutto il creato si doveva prendere gioco di lui?
Pasquale Riccio era la prima volta che se lo chiedeva. Di solito il figlio, per lui, aveva la stessa importanza della carta da parati in soggiorno e non si accorgeva se mancasse oppure no.
In quei momenti si spalancavano abissi che aveva soltanto sfiorato. Tutta quella roba era scivolata in un vuoto del suo cuore. Perché la felicità vista da fuori è crudele, ti colpisce come un manrovescio, uno schiaffo egoista che ti dice soltanto: “Tu no.”
Ma sentiva tutto come da dentro un acquario, chiuso nel suo dolore che non guardava in faccia a nisciuno. Perché il dolore era la cosa più egoista del mondo: andava vissuto da soli, perché il dolore non è come il pane, e Uvaspina pensò che per quanto lo vuoi spartire con qualcuno, alla fine sei solo tu che te lo mastichi e te lo piangi.
L’intelligenza di Antonio faceva paura a tutti, perché aveva qualcosa di luciferino e angelico, ma non potevano sapere da dove veniva. Non potevano sapere dell’Acquajola, non potevano sapere che cosa può combinare una persona che ha fame.
Sentir pronunciare il suo nome la inondò di una dolcezza mai provata, come se tutto il succo spremuto fosse fermentato in un nettare divino. Se quella voce la chiamava, la riconosceva, allora il frullatore non l’aveva inghiottita per sempre.
I fratelli si guardarono e allungarono le mani l’una verso l’altro attraverso le sbarre del cancello. Per loro, il metallo non era più niente.
Un romanzo che è come la città in cui è ambientato: Napoli.
Un romanzo che è la contraddizione e l’affermazione di sé stesso.
Un romanzo crudo e vero come l’Amore, quello con l’A maiuscola.
L’Amore di una madre per la figlia. Una figlia di cui tutti temono gli scatti d’ira fino a non voler vedere l’aiuto di cui necessita. Un Amore a senso unico, che inghiotte e stritola fino ad annientare.
L’Amore inesistente dei genitori per il figlio, un Amore che richiede la sopportazione per le umiliazioni e i soprusi subiti dalla sorella.
E poi, l’Amore vero tra due persone che si incontrano per caso, dove l’uno salva l’altro e distrugge tutto il resto. L’Amore che guarisce da anni di indifferenza in famiglia, soprusi a scuola, dalla mancanza di amici, dalle incomprensioni e dalle lacrime affogate nel cuscino durante la notte quando tutti dormono.
Un romanzo profondo che graffia l’anima mentre ci racconta la vita di Minuccia e Uvaspina, della Spaiata, la madre dei due che non si è fatta confinare nelle vie di Forcella dove è nata, che delle tradizioni e credenze antiche ha tratto la determinazione per vivere la vita che ha sempre agognato.
Minuccia che devasta la tranquillità della famiglia quando i suoi scatti d’ira feriscono l’anima ma anche il corpo. Minuccia e si soprusi nei confronti del fratello.
Uvaspina rassegnato ad essere l’escluso e il deriso per il suo aspetto etereo, la sua intelligenza, il carattere mite e gentile.
Pasquale, uomo senza carattere che, pur di salvare la sua reputazione, baratterà la vita di sua figlia in cambio di una menzogna.
Monica Acito, in questo romanzo ci regala momenti di struggente raffinatezza letteraria.
Uvaspina
di Monica Acito
Bompiani 2023