Julian Barnes è uno dei maggiori scrittori inglesi contemporanei, nato nel 1946 a Leicester inizia la sua carriera come giornalista per dedicarsi alla scrittura di romanzi dagli anni Ottanta. Tra i vari riconoscimenti ha vinto nel 2011 il Man Booker Prize con il “Il senso di una fine”.
Ne “L’unica storia” con realismo e humor, ci racconta di quell’unico amore che è destinato a rimanere indelebile nella nostra vita a dispetto delle circostanze.
Il primo amore segna una vita per sempre: almeno questo negli anni l’ho imparato. Magari non supererà gli amori successivi, ma la sua esistenza li condizionerà lo stesso. […] Anche se qualche volta cauterizza il cuore e chiunque si avvicini dopo non troverà altro che tessuto cicatriziale.”
Susan e Paul vivono nella periferia suburbana londinese in quell’epoca prerivoluzionaria che furono i primi anni Sessanta. Paul è un universitario diciannovenne senza particolari ambizioni che non sente appartenenza alla realtà piccolo borghese in cui vive, è infatti per “puro spirito canzonatorio” che durante un’estate di ozio accetta la proposta della madre di iscriversi al “Village”, un circolo di tennis ritrovo della buona società. Qui conosce Susan McLeod che subito lo colpisce per il suo fascino e lo spirito dissacratorio verso l’ambiente da cui entrambi provengono. Susan ha 48 anni, un marito irascibile, due figlie universitarie e quasi nessun amico tranne Joan, una donna disillusa e senza peli sulla lingua.
All’inizio non sai bene dove Barnes voglia condurti. La relazione con una donna sposata e tanto più grande di lui provoca in Paul il sottile piacere di suscitare disapprovazione nei benpensanti, ma né questo, né l’ovvio scandalo che potrebbe scaturirne sono il fulcro del racconto.
Quando scatta la “fuitina” dei protagonisti che, dimentichi di genitori, figlie e mariti, si trasferiscono in città, il racconto si addentra nella quotidianità di una vita a due che lentamente apre le quinte al disincanto. Per Paul l’amore è puro, assoluto e salvifico e, quando iniziano a emergere brandelli della vita passata di Susan e ferite non messe in conto, non può far altro che negare la realtà nel terrore di veder sgretolata la sua favola. Ma la vita prende il sopravvento e dopo anni di lotta costringerà Paul alla resa lasciando sospeso in lui l’interrogativo che lo accompagnerà per sempre: arrendersi è segno di viltà o di coraggio?
Che ci sei dentro . E ci resterai per sempre. No, non in senso letterale, ma con il cuore. Non finisce mai niente se è arrivato così in profondità. Te ne andrai ferito, per sempre. Per un po’ la tua scelta sarà andartene ferito, o morire. Non sei d’accordo?”
Nell’ultimo atto il realismo si insinua nei residui di una visione assoluta dell’amore e quando dopo anni il protagonista incontrerà Susan per l’ultima volta morente in un letto d’ospedale, non potrà che constatare la beffarda verità che della loro storia non è rimasto nulla se non i ricordi. La ferita rimane eppure la vita va avanti.
L’autore affida la narrazione a Paul che ci racconta la sua storia tra immagini che sbiadiscono nel tempo e altre vivide o forse reinventate dalla memoria, in un palleggiare continuo di ricordi in cui le riflessioni a volte suonano un po’ ridondanti.
Ma cosa vuole dirci Barnes? Che sia l’amore l’alibi per sfuggire al nostro ineluttabile destino? O per allontanarci con cortesia da noi stessi? Forse non sono le risposte quelle che importano, senza giudizio ci viene svelata la nostra umana natura di amati e amanti facendoci sentire un po’ meno soli qualsiasi sia, sia stata o sarà l’unica storia che porteremo con noi.
Siamo tutti in cerca di un porto sicuro. E se non lo troviamo ci tocca imparare ad ammazzare il tempo.”
Dal mare sono approdata a Milano ormai 15 anni fa, la frenetica città è diventata così culla della mia formazione mentre le radici rimangono piantate tra salsedine e pini marittimi, in equilibrio nostalgico tra passato e presente.
Da sempre proiettata verso l’esigenza di esprimermi in maniera creativa, ho deciso di assecondare questa tendenza e studiare arte e poi moda, per poi scoprire che la cosiddetta “creatività” è applicabile a ogni ambito dell’esistenza, quando parliamo col vicino di casa, andiamo a far la spesa o ci si intasa il lavandino, quando cuciniamo per dieci persone con due ingredienti nel frigo o cerchiamo di far quadrare i conti alla fine del mese.
Come un’ape in cerca del polline vago tra i miei molteplici interessi, alcuni sfumati nello scorrere degli anni e altri ancora in auge. Tra i fiori verso cui attingo al momento ci sono i libri, lo swing, la pittura, il vino e il cibo, il teatro, lo studio dello yoga e di uno stile di vita più “umano”. La scrittura, invece, è rimasta costante della mia vita.
Scrivo da quando ho iniziato a dare senso compiuto alle parole, inizialmente per istinto e necessità e poi per passione, prediligendo in assoluto il gesto postumo di correggere per cento e più volte il testo battuto di getto sulla tastiera. Sono incuriosita da tutto ciò che è comunicazione (compreso il silenzio), quel ponte tra noi e il mondo ultimamente troppo sottovalutato.