Mentre tornavamo a piedi Jenny seguitò a tenermi per una manica. Non per un braccio, per una manica. Non chiedetemi di spiegare perché. Sulla soglia di Briggs Hall non la baciai per augurarle la buonanotte. 

 Ci parlammo a bisbigli. 

«Jen …» 

«Si?» 

«Jen … che cosa diresti se ti dicessi …» 

Esitavo. Lei attese. 

«Credo… di essermi innamorato di te.» 

Seguì una pausa. Infine mi rispose pianissimo: 

«Direi … che sei uno stronzo.» 

E riappese. 

Non mi sentivo infelice. E nemmeno sorpreso. 

 Sembrava sinceramente sbalordita. Fu a questo punto che ebbi la prima impressione di un abisso culturale fra noi due. Voglio dire, tre anni e mezzo di Harvard-Radcliffe ci avevano trasformati negli intellettuali presuntuosi che quelle istituzioni producono tradizionalmente, ma quando si trattava di accettare la realtà che mio padre era fatto di pietra, lei restava attaccata a chissà quale concetto atavico. 

 Le stava già stringendo la mano, prima che io potessi finire la presentazione. Notai che non portava nessuno dei suoi abiti da banchiere. No: Oliver III indossava una giacca sportiva di cachemire fantasia. E c’era sulla sua faccia, di solito impassibile come una roccia, un sorriso insidioso. 

 Quello che tanto mi piaceva di Jenny era la sua capacità di vedere dentro di me, di capire tante cose senza che io dovessi sforzarmi di esprimerle. Ma potevo affrontare l’idea di non essere perfetto? Lei aveva già affrontato i miei difetti e anche i suoi. 

 «Sposala adesso e io non ti darò più neanche la possibilità di respirare.» 

Me ne sbattevo che qualcuno mi sentisse. 

«Papà, tu non sai cosa vuol dire respirare.» 

Uscì dalla sua vita e iniziai la mia. 

La guardai negli occhi. Erano indicibilmente tristi. Ma tristi in un modo che soltanto io potevo capire. Mi dicevano che era addolorata. Addolorata per me, voglio dire. 

Restammo in silenzio stretti l’uno contro l’altra. Per favore se uno dei due si mette a piangere, piangiamo tutti e due. Ma meglio se nessuno dei due. 

Poi feci quello che non avevo mai fatto davanti a lui. Tanto meno tra le sue braccia. Piansi. 

 

Romeo e Giulietta? Balle! Chi dice che la più bella storia d’amore che sia mai stata scritta sia Romeo e Giulietta non ha mai letto Love Story .

L’amore, come la tragedia, trapela sin già dalle prime parole. Ma quanto amore traspare dai versi recitati da Oliver durante il matrimonio? E quanto in quelle di Jenny? E la figura marginale ma ben presente di Phil? Perché senza il suo amore Jenny non sarebbe stata la ragazza di cui si sarebbe mai potuto innamorare Oliver. 

Preparate i fazzoletti, tanti fazzoletti per le lacrime che vi farà versare questo libro. Uno dei romanzi più belli in assoluto che raccontano la storia d’amore di due persone. 

Due ragazzi, Jennifer e Oliver. Opposti per estrazione sociale, modo di vivere, ma uniti da un sentimento puro e genuino che tocca i cuori di ognuno di noi. 

A distanza di anni, da quando lo lessi la prima volta, ci sono intere frasi che ricordo a memoria, frasi che è difficile dimenticare per quante emozioni sortiscono. 

Il libro fu scritto, dall’Autore, dopo aver già prodotto la scenografia dell’omonimo film che fu interpretato da Ali MacGraw nel ruolo di Jennifer e Ryan O’Neal nel ruolo di Oliver, per la regia di Arthur Hiller. 

Love Story  di Erich Segal, #Amare significa non dover mai dire: mi dispiace

Love Story 
di Erich Segal
Sperling & Kupfer (240 pp.)
traduzione di Maria Gallone