Se in Somnia cercate l’adrenalina, la paura e l’angoscia, forse questo film non è la scelta esatta. L’ultimo film di Flanagan è un dramma a tutti gli effetti, associato alla categoria horror per un pugno di scene meno sobrie e poco sopra le righe.
Jessie e Mark prendono in affidamento il piccolo Cody, dopo un periodo di riflessione successivo alla morte del loro figlio naturale. Cody ha paura di addormentarsi per via dell’uomo cancro che lo perseguita nei suoi sogni. Oltre la paura, il giovane protagonista ha il potere di rendere reali i suoi sogni, belli o brutti che siano.
Il regista del precedente Oculus ha preparato egregiamente il filone; l’idea risulta originale, l’attesa che la racconta è accurata, colorata e luminosa. Da sottolineare il particolare della luce, perché Somnia è un film dalla tinta caraveggesca, illuminato da un velo dorato nelle sue sezioni centrali e reso ombroso sui contorni.
L’idea di base è colmata da una serie di acute trovate nella sceneggiatura. Interessante è l’avidità con cui viene rappresentata una madre che brama il proprio figlio, anche a discapito di un terzo e contro ogni intuizione etica. Infine non resta che tirare in ballo il punto del film, il cuore della pellicola: il sogno. Parlare d’inconscio non è mai semplice. Non è mai chiaro quanto si debba dire e quanto può e deve restare nell’ombra. Forse Flanagan su questo punto ha posato il piede su una buccia di banana.
Somnia commette il madornale errore di distendersi, appiattirsi e srotolarsi sul viso dello spettatore, aprendosi fino alla disillusione; finisce per distruggere tutto ciò che in precedenza è stato creato. Un vero e proprio risveglio da un bel sogno. Cody, il bambino prodigio, ha la fortuna o la sfortuna di materializzare il suo inconscio. L’imo del ragazzino surclassa la realtà e i suoi sogni divengono tele dipinte solo per metà, messe a disposizione degli spettatori per terminare il resto. Un Horror Vacui quello del regista che nella conclusione ha sentito il bisogno di spiegare ogni cosa, senza lasciare nulla all’immaginazione. Stridente è dunque il sentir parlare di sogni durante tutto il film per poi sentirsi raccontare, come dal peggior psicologo del caso, la spiegazione dell’intera faccenda. Non una buona mossa neanche l’infilare a spallate la purezza del ricordo e dell’amore, un aggiungere fronzoli ad un testo che già cominciava a macchiare il progetto. Insomma, l’uomo cancro ci piaceva perché non spiegato. Quando questa strana creatura si toglie la maschera e si mostra per quel che è, non possiamo far altro che dirci sorpresi per tanta banalità.
La confezione riesce a far a meno di estetismi superflui. Tecnicamente ridotto all’osso per mostrarsi il più semplice possibile. Somnia si mette in carreggiata alle spalle di film più o meno recenti come Babadook, condividendone anche gli errori.