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#La foresta dei sogni. Un purgatorio boscoso

#La foresta dei sogni. Un purgatorio boscoso

Nelle sale l’ultima pellicola del regista americano di Elephant e Paranoid Park. Gus Van Sant trascina lo spettatore in una foresta del ricordo e del pentimento, lasciandosi dietro briciole di pane, in questo caso vere e proprie pagnotte, per permetterci di seguirlo nel viaggio.

Arthur Brennan, scienziato e docente in America, vola in Giappone per raggiungere la foresta di Aokigahara, la fitta foresta che è meta di coloro che desiderano mettere fine alla propria vita. All’interno della foresta Arthur incontra Takumi Nakamura, un uomo ferito che ha deciso di tornare sui propri passi. Ma aiutare l’uomo ad uscire è complesso poiché la foresta, come entità vivente, pone i due avventurieri di fronte a prove estenuanti. Il racconto di questo purgatorio alberato è interrotto dai flashback che ricostruiscono il passato di Arthur e sua moglie, quel passato che ha portato Arthur sul suo sanguinoso cammino.

Gus Van Sant è un regista bipolare, uno di quei personaggi in grado di regalare perle e fare buchi nell’acqua alternando originalit , tecnica, temi impattanti e il nulla. Questo film, pur essendo nel mezzo, si avvicina maggiormente a quella che possiamo considerare la sua produzione negativa.

Ottima l’ambientazione giapponese, la tradizione del mistico e del mito orientale che affascina da sempre. Meno i motivi con cui la pellicola si affaccia su questo mondo. Il dramma ne La foresta dei sogni resta su un piano superficiale, non riesce a scavare a fondo e quasi mai pone le salde radici dell’introspettivo che potremmo aspettarci. Da spettatori siamo illusi dalla sceneggiatura di Chris Sparling, troppo spesso costretta in alcune variazioni e risvolti drammatici che fanno strizzare il naso e che non riusciamo proprio a lasciare stare. Su tutte la sequenza in cui la bella Naomi Watts che, scampata al male che può portare un delicato intervento al cervello, è travolta da un tir mentre viene trasportata in un’autoambulanza. Lasciamo al lettore questa immagine che può soddisfare solo uno spettatore ingenuo.

Se il film invita a guardarci attorno, al comprendere più in profondità le persone che amiamo, ci chiediamo quali altri motivi hanno spinto il regista in questo progetto dopo aver analizzato la convenzionalità del cinema che ci viene proposto. La foresta dei sogni è un insipido già dato, pare già sentito. Per riprendere il contesto fiabesco dei Grimm, non c’è bisogno di seguire le briciole di pane, ci viene messo tutto sotto il naso.

Gus Van Sant resta aggrovigliato nei rovi che lui stesso crea, incastrato e perso tra quei sentieri interrotti che dal punto di vista visivo ci mostra egregiamente, ma che tenta di portare su un piano metafisico e spirituale con scarsi risultati.

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