Un uomo è entrato in una spirale di insofferenza mista a odio in seguito alla morte della moglie, che gli ha dato tre bellissime figlie: Stella, Luce e Aria.

https://youtu.be/ZmtruJIclfo

Incapace di rielaborare il lutto, ha trasformato la sua incredulità in un ottimo piano di manipolazione psicologica delle figlie, che è riuscito a tenere a bada grazie a una bugia esorbitante: quando la loro madre è morta, infatti, il Sole si è “ammalato” costringendo tutta l’umanità a una catastrofe senza precedenti. Per resistere alla quale solo i padri di famiglia, in quanto uomini e sufficientemente forzuti, sono potuti uscire di casa per procacciarsi il cibo destinato alla sopravvivenza.

Stella, la più grande, trasgredisce il ferreo comandamento di non uscire di casa per nessuna ragione al mondo, innescando una serie di conseguenze che cambieranno inevitabilmente sia lei sia le sorelline. Di fatto è la più scettica: se sovverte quell’obbligo irrisorio che le era stato imposto sin da piccola – senza nemmeno accorgersene – è perché vuole solo emanciparsi dal padre maschilista, moralista e morboso. Un uomo cinico che, per resistere alle fatali radiazioni solari, si copre dalla testa ai piedi, con tanto di mascherina antigas; e non senza aver prima pregato il Signore. Questo è il suo costume per dare credibilità alla grande farsa, questo il suo controllo misogino per non essere contrastato dalle figlie.

Diretto da Emanuela Rossi, co-sceneggiato dalla medesima con Claudio Corbucci, “Buio” è un film claustrofobico, oscillante tra il thriller e il grottesco, che vanta la presenza di tre giovani promesse del Cinema italiano, a cominciare da Denise Tantucci (che dà il volto a Stella), Gaia Bocci (la sorella di mezzo Luce, qui alla sua prima prova cinematografica), passando per la piccola Olimpia Rosato (Aria, la minore), arrivando a Valerio Binasco (il padre vedovo).

Teneramente dedicato “alle ragazze che resistono”, il film consiste infatti in un faticoso ed estenuante rito di passaggio che mette a dura prova la resilienza di tre sorelle-amiche, perennemente chiuse in casa in una sorta di “quarantena” obbligata e del tutto controproducente. Per ammazzare il tempo, oltre ai lavori domestici, si ritagliano piccoli momenti di condivisione, intimi perché avvengono quando manca il padre, come per esempio il picnic simulato in cui rivedono la defunta madre grazie a degli occhiali ipertecnologici, o i balli di fitness che seguono alla tv, vestite alla maniera degli anni Ottanta.

Abitano palesemente nel terzo millennio, ma vestono come se fossero nel primo Novecento. Vivono – ignare – su di una collina appena alle porte di una cittadina moderna, urbanizzata, con tanto di supermercato e autostrade: cose che loro sospettano non siano più rimaste dopo la malattia del Sole. Conoscono tutti gli aspetti della vita quotidiana, materiali come gli elettrodomestici che usano per pulire, immateriali come l’amore che Stella, per esempio, provava per un vecchio compagno di classe, ma non avendone fatto un’esperienza razionale, li giustificano inconsciamente con l’elemento divino a cui il padre le ha abituate (anche costrette) a credere.

Ad ogni modo, l’agognata ribellione viene allegoricamente preannunciata nel prologo, quando vediamo Stella, nuda, guardare in alto verso un finestrino della soffitta, luminosa come un astro del cielo, assaporando una quantità di luce e aria che, per tutta la giornata, lei può solo immaginare, essendo tutte le fessure di casa sbarrate. Tuttavia, forse è proprio così che Dio si è già deciso a rassicurarla, sapendo che pregando più avanti lei l’avrebbe supplicato: “Signore, tu che vedi tutto, non guardare più questa famiglia, anzi se puoi, dimenticati di noi. E manda il più presto possibile l’Apocalisse”.

Ecco tutti i meriti di una storia molto singolare: fungere da allerta circa il cambiamento climatico senza però attribuirsi questo solo scopo; ammonire i padri presuntuosi e retrogradi nell’impartire alle proprie figlie ordini e disconoscenze spregiudicate (come il fatto che le mestruazioni contagino gli uomini), senza però diventare un manifesto femminista; illustrare i rischi dell’ignoranza cui ancora molte persone decidono di inginocchiarsi, ma sempre a scapito delle donne, senza però dimenticare di dare uno sguardo più ampio alla vacuità che regna in tutti, che viviamo in città o sperduti in campagna.