È una delle artiste più citate e apprezzate degli ultimi tempi. Sarà per la sua arte così incisiva, per l’anima libera e passionale, per lo stile inconfondibile che Frida Kahlo è diventata un simbolo nel mondo dell’arte ma non solo.
E di nuovo Milano le dedica una mostra, questa volta alla Fabbrica del Vapore fino al 28 marzo 2021. “Il Caos dentro” curata da Antonio Arévalo è però un’esperienza diversa dall’ordinario che guida lo spettatore nel mondo della pittrice attraverso ricostruzioni scenografiche, musiche, lettere, costumi, fotografie, riproduzioni e tanto altro.
L’incidente che la Kahlo ebbe all’età di diciotto anni la condannò a un calvario fisico ma la condusse alla pittura, un potente mezzo espressivo attraverso cui realizzò quadri impregnati di sofferenza e vitalità, concetto ben sintetizzato dall’amico e pittore George Braque:
“L’arte è una ferita che si trasforma in luce”.
Ma, lo dimostra anche il documentario che conclude il percorso, il filo conduttore della sua vita e della mostra rimane il controverso sodalizio con Diego Rivera che conobbe giovanissima e che influenzò, nel bene e nel male, la sua esistenza.
Accoglie all’entrata una riproduzione di “Las dos Fridas” uno dei suoi più famosi autoritratti, interpretata da Innocenzo Mancuso attraverso una scultura in filo zincato realizzata con la collaborazione delle donne messicane che ne hanno cucito costumi e ricami. Sono le due Frida che si tengono per mano l’una sana e integra, l’altra ferita e macchiata da gocce di sangue.
“Non sono malata. Sono rotta. Ma sono felice, fintanto che potrò dipingere”
Ci si addentra nel percorso accolti da riproduzioni animate dei dipinti più famosi per poi, dopo un excursus cronologico, ammirare gli interni della Casa Azul di Coyoacán, ora museo dedicato, dove visse la sua infanzia e poi la relazione con Rivera. La camera da letto racchiude il mondo di Frida con il famoso baldacchino, i piccoli oggetti tipici della cultura popolare messicana, i ritratti di Mao Tse-Tung appesi alle pareti. C’è poi lo studio vivo e immobile, con colori e pennelli, una sedia a rotelle e davanti un cavalletto con una tela. E infine il famoso giardino con pappagalli che sbucano tra le foglie e sculture sparse, dove in giallo campeggia la scritta “Frida y Diego vivieron en esta casa, 1929-1954”.
Come è noto la relazione con Diego Rivera fu travagliata, la pittrice ne visse i tradimenti con sofferenza ma senza subirli del tutto essendo lei stessa propensa a intrattenere relazioni di vario genere con uomini e donne. Si sposarono due volte ma è innegabile che il pittore fu l’unico vero amore della sua vita. Passione testimoniata in tante delle sue opere ma non solo. L’esposizione dedica uno spazio alle lunghissime lettere che era solita scrivere al marito mentre una voce di sottofondo ne recita le parole, un angolo dove si respira un’atmosfera di passione e tormento. Emozioni trainanti, queste, nel vissuto dell’artista riversate anche nell’impegno sociale e nelle lotte popolari per la rivoluzione, da lei definita come “l’unica vera ragione di vivere”.
Alcune tra le più note immagini della pittrice le realizzò il fotografo colombiano Leo Matiz, nel percorso della mostra completano una parte importante: lei, così propensa all’autoritrarsi, ora interpretata dallo sguardo di un altro artista. Frida che amava essere fotografata, è ripresa in questi scatti in un periodo fiorente sia come donna che come artista, ben espresso nelle foto dalla sua naturale fierezza.
I problemi di salute e gli oltre trenta interventi chirurgici la relegarono spesso a letto o costretta dentro un busto in gesso che lei dipinse e decorò quasi come forma di resistenza al dolore a cui contrapponeva sempre una grande energia vitale. Per celebrare questo aspetto una serie di artisti ha offerto un contributo re-interpretandone una riproduzione trasformata quasi in ornamento.
La sua personalità si esprimeva anche attraverso gli abiti che, incoronata di fiori, la collocano in un’epoca senza tempo. Sono infatti i vestiti tradizionali della cultura messicana dai bellissimi ricami, che qui esposti riempiono di colore e suggestioni il percorso del visitatore. Abiti e accessori che hanno reso la Kahlo, suo malgrado (la sua scelta era dettata da un senso di profonda appartenenza alla propria cultura), icona di stile tanto da stimolare la creatività di innumerevoli designer di oggi. Ma, in quanto a originalità, la vera chicca su cui soffermarsi è le serie di francobolli realizzati da vari paesi come omaggio al contributo che la pittrice ha dato al mondo con la sua arte.
L’unico quadro originale “Piden Aeroplanos y les dan Alas Petate” lo si trova in una stanza attorniato come in un abbraccio da alcune opere in miniatura di Diego Rivera. Legato a un ricordo d’infanzia, raffigura una bambina con ali di paglia che tiene in mano un aeroplano giocattolo e pare sia stato rifatto dopo che la prima copia fu persa. Immancabile è poi lo spazio dedicato agli innumerevoli autoritratti diventati ormai parte dell’immaginario comune associato all’artista. Riproduzioni retro illuminate dove la pittrice sembra apparire sempre un po’ diversa da sé stessa, come tante in un’unica Frida.
“Dal momento che i miei soggetti sono stati sempre le mie sensazioni, i miei stati mentali e le reazioni profonde che la vita è andata producendo in me, ho di frequente oggettivato tutto questo in immagini di me stessa, che erano la cosa più sincera che io potessi fare per esprimere ciò che sentivo fuori e dentro di me.”
Il caos è un ricco scenario di colori e aneddoti tanto quanto fu la vita di Frida Khalo, caratterizzata dalla sofferenza fisica e spesso sentimentale che lei trasformò sempre e fino alla fine in una magnetica, inconfondibile forza espressiva. Ed è questo a renderla l’icona che oggi è, forse un po’ perché il mondo si affeziona a ciò di cui ha bisogno: la resilienza, come un bel fiore che sboccia nel grigio di un paesaggio ostile.

Dal mare sono approdata a Milano ormai 15 anni fa, la frenetica città è diventata così culla della mia formazione mentre le radici rimangono piantate tra salsedine e pini marittimi, in equilibrio nostalgico tra passato e presente.
Da sempre proiettata verso l’esigenza di esprimermi in maniera creativa, ho deciso di assecondare questa tendenza e studiare arte e poi moda, per poi scoprire che la cosiddetta “creatività” è applicabile a ogni ambito dell’esistenza, quando parliamo col vicino di casa, andiamo a far la spesa o ci si intasa il lavandino, quando cuciniamo per dieci persone con due ingredienti nel frigo o cerchiamo di far quadrare i conti alla fine del mese.
Come un’ape in cerca del polline vago tra i miei molteplici interessi, alcuni sfumati nello scorrere degli anni e altri ancora in auge. Tra i fiori verso cui attingo al momento ci sono i libri, lo swing, la pittura, il vino e il cibo, il teatro, lo studio dello yoga e di uno stile di vita più “umano”. La scrittura, invece, è rimasta costante della mia vita.
Scrivo da quando ho iniziato a dare senso compiuto alle parole, inizialmente per istinto e necessità e poi per passione, prediligendo in assoluto il gesto postumo di correggere per cento e più volte il testo battuto di getto sulla tastiera. Sono incuriosita da tutto ciò che è comunicazione (compreso il silenzio), quel ponte tra noi e il mondo ultimamente troppo sottovalutato.