La mostra ospitata al Mudec di Milano fino al 26 Febbraio 2017 è una di quelle dove chi entra si dice “questo potevo farlo anche io”. Apparentemente.
Basquiat è stato uno dei maggiori esponenti della corrente artistica del graffitismo e, nella sua breve vita, un artista davvero molto prolifico.
Jean Michel prende piena consapevolezza della propria vocazione artistica all’età di 17 anni iniziando a produrre le prime opera, ovviamente, per le strade di New York, sotto lo pseudonimo SAMO® (Some Old Shit).
Non passeranno molti anni perchè Basquiat si faccia notare e diventi a pieno titolo un esponente della corrente Pop, alla pari di Warhol o Haring. Questa fama improvvisa, quanto inaspettata e di non facile gestione, fù per tutta la vita croce e delizia del giovane, il quale si trovò sempre sotto pressione nel produrre sempre più velocemente opere, molto apprezzate dal pubblico di collezionisti, tanto da veder venduti quadri sui quali stava ancora lavorando o con la vernice ancora fresca.
Nel percorso curato da Jeffrey Deitch e Gianni Mercurio ritroviamo circa 140 opere dell’oltre migliaio prodotto in circa 10 anni di attività. Compiamo un viaggio attraverso i temi dominanti dell’espressione di questo giovane artista, confrontandoci con con una produzione grafica che a prima vista appare semplice e banale, a tratti infantile, con alcuni richiami ai cartoon, ma che esprime tutta la fragilità, la sensibilità e la paura di questo giovane artista.
Uno dei temi è la sacralità, richiamata spesso nei dipinti mediante la rappresentazione di corone uncinate e aureole. Guardando attentamente troveremo passi della Bibbia, quali le piaghe d’Egitto, l’Agnello sacrificale e il Giudizio Universale (con tanto di inserti di piume reali).
Una delle fissazioni dell’artista è stata quella dell’anatonomia umana, mediante la raffigurazione, apparentemente slegata, di braccia, mani, mandibole, denti, ossa e organi. Tanta sofferenza appare nei dipinti che richiamano il tema della discriminazione razziale, i rimandi frequenti alle origini africane, celate dietro mistici stregoni. L’insicurezza traspare nel confronto con gli artisti classici, mediante tele che richiamano la Maya Desnuda di Goya, la Venere di Botticelli, Matisse, Picasso. L’angoscia per la mercificazione dell’arte che avviene in quel periodo, viene spesso riprodotta da Basquiat, idolatrato dal mercato malato dei galleristi.
La mostra offre inoltre esempi di opere alternative dell’artista, con stampe, musica, piatti fregiati a pennarello e si conclude con la sezione dedicata all’ultimo periodo dell’artista, quello fatto di collaborazioni con i massimi esponenti, quali Franco Clemente e Andy Warhol con opere create a “4 mani”. Una di queste è Thiny Lips, che contiene una forte critica verso la politica di Ronald Regan, fatta secondo Basquiat e Warhol di false promesse.
Basquiat si spegnerà all’età di soli 27 anni per un overdose di droga, nella quale si era rifugiato nel suo ultimo anno a seguito dello shock per la morte improvvisa del suo caro amico Andy Warhol.
Direttore editoriale di No#News Magazine.
Viaggiatore iperattivo, tenta sempre di confondersi con la popolazione indigena.
Amante della lettura, legge un po’ di tutto. Dai cupi autori russi, passando per i libertini francesi, attraverso i pessimisti tedeschi, per arrivare ai sofferenti per amore, inglesi. Tra gli scrittori moderni tra i preferiti spiccano Roddy Doyle, Nick Hornby e Francesco Muzzopappa.
Melomane vecchio stampo: è chiamato il fondamentalista del Loggione. Ama il dramma verdiano così come le atmosfere oniriche di Wagner. L’opera preferita tuttavia rimane la Tosca.