Longilinea, affascinante, dallo sguardo acuto e profondo, Inge Morath è stata la prima donna a far parte della celebre agenzia Magnum Photos. Circa 150 dei suoi scatti sono ora esposti al Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano fino all’11 Novembre 2020, in una retrospettiva curata da Brigitte Blüml-Kaindl, Kurt Kaindl e Marco Minuz, inserita all’interno del palinsesto promosso dal comune, “I talenti delle donne, Milano 2020”.

Austriaca di nascita (Graz, 1923) ma cittadina del mondo, figlia di due scienziati, studiò lingue a Berlino e Bucarest, lavorò come interprete, scrisse reportage e arrivata a Londra iniziò ad approfondire la sua passione per la fotografia firmandosi inizialmente con uno pseudonimo maschile, Egni Tharom. Qui, nel 1951 conobbe Robert Capa che attratto dal suo talento la introdusse alla Magnum. Per tanti anni assistente di Henrie Cartier Bresson, fu grazie a lui che conobbe, accompagnandolo sul set del film “Gli spostati”, il drammaturgo Arthur Miller a cui fu legata per tutta la vita. Instancabile e minuziosa nei suoi reportage in giro per il mondo, lavorò anche per celebri riviste come Life, Vogue e molte altre.

“Ho amato la gente. Mi hanno permesso di fotografarli, ma anche loro volevano che li ascoltassi, per dirmi quello che sapevano. Così abbiamo raccontato la loro storia insieme”

Quello che la Morath cercava era la verità, la realtà e le sue sfaccettature indagata con sguardo schietto e una forte propensione verso l’essere umano. Ma fu anche testimone di luoghi e culture diverse a cui si preparava con grande scrupolo, spesso imparando la lingua del posto per poter comprendere e immergersi appieno in ciò che la circondava.

La mostra si snoda infatti attraverso i luoghi dei suoi viaggi, dopo una serie di scatti che la presentano al visitatore ritratta mentre si trova in Francia, Pechino, Messico ecc. si approda al primo servizio che realizzò in Francia, dove apprendista fotografa veniva incaricata di ritrarre feste, sfilate, mostre. Spicca in queste immagini una particolare ricerca di dettagli bizzarri della quotidianità che spesso sfiorano il surrealismo probabile influenza, si dice, del suo maestro Bresson.

A Venezia invece fotografò vicoli, scorci in prospettive inusuali e gente comune ripresa nella struggente quotidianità dell’Italia del dopoguerra. La Spagna fu un paese che visitò spesso nel corso della sua vita; vi arrivò la prima volta per ritrarre la sorella di Picasso, Lola, solitamente restia a farsi immortalare, e poi toreri, passi di flamenco, gesti rituali e immense piazze.

Dell’Inghilterra è famoso lo scatto all’amica aristocratica Eveleigh Nash seduta all’interno della sua automobile, la Morath raccontò le difficoltà di cogliere quell’attimo in apparenza così studiato nel docu-film che accompagna la mostra. In Iran invece ci arrivò grazie a un incarico nel 1956 ritraendo beduini, uomini nelle moschee ma soprattutto le donne. Emblematica è “Tre mogli con i loro pappagalli” dove tre donne velate sono in posa con in primo piano tre gabbie con dentro i loro uccelli. In questa terra la fotografa, infatti, cercò di approfondire il contatto con la delicata dimensione femminile.

Fu per la prima volta in Romania al tempo della Guerra Fredda; in Russia dove immortalò il nipote di Dostoevskij; e poi negli USA dove nel 1957 venne incaricata di realizzare un reportage su New York City. A quel periodo risale la famosa foto del lama che spunta dal finestrino di un’auto a Times Square, parte di una serie di scatti che indagavano l’utilizzo di animali sui set cinematografici. Fotografò il quartiere ebraico, donne comuni della Fifth Avenue simili a dive, Harlem, e degli Stati Uniti fa anche parte la serie di scatti del suo studio a Roxbury, nella campagna del Connecticut dove visse con la famiglia. Affascinanti riprese prive di persone che forniscono uno scorcio generoso della sua dimensione privata; così come quelle di Graz, suo paese natale, dove le architetture e gli spazi svuotati di presenze umane assumono una nuova pregnanza.

Naturalmente non manca la serie di ritratti a personaggi famosi di cui fu sempre una curiosa indagatrice, come Calder, Giacometti, Roth, Neruda, Audrey Hepburn per citarne alcuni, di cui il più celebre è sicuramente lo scatto rubato a Marylin Monroe mentre raccolta e ignara provava le scene del film “Gli spostati”. Oltre ai volti noti ci sono anche quelli mascherati, interessante collaborazione nata con l’eccentrico e geniale disegnatore Saul Steinberg. Persone comuni e personaggi famosi si alternano senza distinzione, con l’unico obiettivo di indagare attraverso una particolare sensibilità quel che è l’animo umano e forse anche un po’ il proprio.

La fotografia è essenzialmente una questione personale: la ricerca di una verità interiore.”

A conclusione del percorso due identici autoscatti raffigurano la Morath da giovane. Uno dei due modificato da un collage di rami e foglie secche che coprono il volto, fu ritrovato nei rullini ancora da sviluppare dopo l’improvvisa scomparsa della fotografa avvenuta a New York nel 2002, quasi come l’eco di una premonizione.