Grande partecipazione sin dai primi giorni per la mostra organizzata al MUDEC che cerca di spiegare questo misterioso street artist che riesce, con opere dalla tecnica semplice e dalle figure essenziali, a comunicare tematiche cariche di un profondo significato; un’arguta critica della società moderna: nevrotica, iperprotettiva, indifferente.
La mostra sin dalla sua inaugurazione il 21 novembre è stata letteralmente presa d’assalto dal pubblico, totalizzano solo nei primi 5 giorni ben 10.000 presenze. L’attenzione del pubblico è palpabile anche giovedì sera, giornata in cui il Mudec chiude alle 22.30, quando le sale del museo appaiono molto animate.
Questa è una mostra (ovviamente) non autorizzata dall’ignoto artista, che raccoglie circa 80 lavori tra dipinti, prints, oggetti, fotografie e video, oltre a circa 60 copertine di vinili e cd musicali da lui disegnati e memorabilia con lo scopo di fornire uno sguardo retrospettivo sull’opera e soprattutto il pensiero di Bansky.
Essendo la maggior parte delle opere nate in funzione del luogo in cui sono realizzate, i curatori hanno scelto di non presentare in mostra lavori che potessero essere sottratti illegittimamente da spazi pubblici, ma solo opere di collezionisti privati di provenienza e autenticità certificata.
Nato e cresciuto a Londra, nei primi anni Duemila Banksy è a Londra e comincia a farsi conoscere: in breve i muri della città si animano con i suoi personaggi ironici, pungenti,
provocatori, irriverenti. È subito un fenomeno: la stampa parla di “Banksy effect”. I suoi stencils, immediati e ricorrenti come manifesti pubblicitari, colpiscono al cuore: nel 2007 un sondaggio stabilisce che il suo lavoro rappresenta oramai un segno distintivo della città di Londra.
Con le parole di Shepard Fairey, celebre street artist americano:
le sue opere sono piene di immagini metaforiche che trascendono le barriere linguistiche. Le immagini sono divertenti e brillanti, eppure talmente semplici e accessibili: anche se i bambini di sei anni non hanno la minima idea di che cosa sia un conflitto culturale, non avranno alcun problema a riconoscere che c’è qualcosa che non quadra quando vedono la Monna Lisa che impugna un lanciafiamme.
Il percorso inizia, attraverso l’analisi dei movimenti dei writers di New York degli anni ’70 e ’80, con un’introduzione alla forma espressiva di Banksy: una protesta visiva con lo scopo di veicolare attraverso parole ed immagini lineari ed “elementari” tematiche di forte attualità e dal profondo significato.
Si prosegue quindi attraverso l’analisi delle tematiche principali dell’artista, la guerra e la violenza della società contemporanea, la ribellione all’egemonia culturale che la permea, la dipendenza creata dal consumismo, che porta all’ossessione del possesso quale aspettativa di felicità (sempre disattesa) oltre al capitalismo ed alla mercificazione del mercato dell’arte (tematica che abbiamo già visto anche nei rappresentanti della pop art, tra cui Basquiat).
Forse la parte più interessante del percorso espositivo è il documentario, con la partecipazione di Butterfly e David Chaumet, appositamente realizzato per la mostra, che cerca di delineare la figura di Banksy. Frequentando gli ambienti della street art londinese e sfidandone la diffidenza, gli autori cercano di scavare nell’oscura figura di Banksy tratteggiandone la storia e spiegandone l’approccio artistico. Venti minuti di vita vissuta tra le periferie e gli spazi urbani e i riflettori (non voluti) delle più prestigiose case d’asta e degli spazi espositivi di mezzo mondo.
Se vi ho incuriositi, avete ancora parecchio tempo visitare la mostra “A Visual Protest. The Art of Banksy” che rimarrà aperta fino al 14 aprile 2019.
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Direttore editoriale di No#News Magazine.
Viaggiatore iperattivo, tenta sempre di confondersi con la popolazione indigena.
Amante della lettura, legge un po’ di tutto. Dai cupi autori russi, passando per i libertini francesi, attraverso i pessimisti tedeschi, per arrivare ai sofferenti per amore, inglesi. Tra gli scrittori moderni tra i preferiti spiccano Roddy Doyle, Nick Hornby e Francesco Muzzopappa.
Melomane vecchio stampo: è chiamato il fondamentalista del Loggione. Ama il dramma verdiano così come le atmosfere oniriche di Wagner. L’opera preferita tuttavia rimane la Tosca.