Begüm Özkan ha esordito con un’esposizione di quadri al “Tufanostudio” di Via Col di Lana 14 a Milano, un mercoledì di dicembre.
Nata e cresciuta in Turchia, arriva in Italia 7 anni fa per studiare architettura e, da sempre dedita alla pittura, ha visto finalmente realizzato il desiderio di far conoscere il suo ricco mondo interiore composto di colori, suoni, forme, musica e culture diverse. Begüm disegna da quando era bambina e all’età di tre anni scopre di essere ambidestra riuscendo a utilizzare le due mani contemporaneamente per scrivere o disegnare in una sorta di “gesto speculare”, cosa questa che ha influenzato il suo modo di fare arte e percepire la realtà.
I suoi quadri sono un’esplosione di energia che attraverso il colore chiama l’occhio a scoprire il significato intrinseco percepito da ognuno in maniera personale. Le forme diventano tratti sinuosi e circolari, spesso trasformandosi in corpi di donna, luna e pianeti, o linee che, come nei quadri di Kandinsky sono trasposizione di altro, un’ulteriore sfera sensoriale resa pittura, come quella del suono per esempio. Anche nei soggetti più realistici è presente una forza espressiva che trascende il realismo stesso. La sua è una pittura istintiva, basata sul sentire, percependo in maniera profonda e aperta quello che la realtà e le persone hanno da offrire, perché c’è sempre un’energia da afferrare e mettere su tela.
Begüm da cosa trai ispirazione?
Dai suoni, dalla voce di chi mi parla, ogni tono diventa un colore che si tramuta in forma; osservo le persone e la linea prende vita intorno a loro, è quello che emanano che genera il gesto creativo, è come se interpretassi l’aura attraverso il colore. L’architettura ispira ovviamente la mia pittura, così come il mio modo di fare architettura è influenzato dalla mia pittura. La musica è poi fondamentale, capita che alla fine di un’opera io componga un brano; dipingo in maniera emozionale, istintiva, in contatto diretto con il soggetto.
Questa associazione di colori, forme e suoni che avviene nella mia mente ha un nome scientifico: sinestesia (dal greco: percepire insieme, sentire insieme), che è poi il filo conduttore della mia mostra.
Parlami del tema della tua mostra, cosa significa Ahenk?
“Ahenk” vuol dire armonia, in questo caso tra musica, colore e forma, è il percepire la stessa cosa attraverso diversi canali… e qua torna la sinestesia, la dimostrazione pratica è quando dipingo con entrambe le mani in maniera speculare. È stato studiato che questo processo comporta l’unione dei due emisferi del cervello, il destro e il sinistro che, insieme, è come se generassero una percezione più ampia e unificata della realtà, dove importa il tutto, non solo le singole parti.
Cosa rappresenta l’arte per te?
È il modo per esprimere le emozioni senza usare la parola; è meditazione, posso stare quattro ore davanti a un soggetto o alla tela prima di iniziare a dipingere; è un rituale, a volte quando creo ascolto a ripetizione lo stesso brano. Per me tutto il processo creativo, da quando mi siedo a osservare la tela bianca fino all’esecuzione finale, rappresenta l’opera stessa.
Che influenza hanno le tue origini e l’Italia nella tua arte?
Ho viaggiato in vari paesi e ho visto che le persone in Italia sono molto sensibili all’arte rispetto ad altri posti in Europa, questo mi aiuta a essere compresa dando valore al mio lavoro.
La Turchia è una terra di mezzo, il ponte tra l’Europa e l’Asia, una terra multiculturale e aperta, la sua musica e la sua profonda cultura sono dentro alle mie opere.
A prova di quest’arte onnicomprensiva un mini arrangio musicale ha accompagnato la mostra, l’artista e la sorella Gizem si sono cimentate infatti in un duetto con violoncello, flauto traverso, ukulele e canzoni della tradizione turca. Non è mancata la performance di disegno e scrittura speculare dedicata e ispirata dagli ospiti presenti e, per completare, un buffet variegato con piatti home-made della tradizione turca. Per chiudere il cerchio sinergico in perfetta armonia.
Dal mare sono approdata a Milano ormai 15 anni fa, la frenetica città è diventata così culla della mia formazione mentre le radici rimangono piantate tra salsedine e pini marittimi, in equilibrio nostalgico tra passato e presente.
Da sempre proiettata verso l’esigenza di esprimermi in maniera creativa, ho deciso di assecondare questa tendenza e studiare arte e poi moda, per poi scoprire che la cosiddetta “creatività” è applicabile a ogni ambito dell’esistenza, quando parliamo col vicino di casa, andiamo a far la spesa o ci si intasa il lavandino, quando cuciniamo per dieci persone con due ingredienti nel frigo o cerchiamo di far quadrare i conti alla fine del mese.
Come un’ape in cerca del polline vago tra i miei molteplici interessi, alcuni sfumati nello scorrere degli anni e altri ancora in auge. Tra i fiori verso cui attingo al momento ci sono i libri, lo swing, la pittura, il vino e il cibo, il teatro, lo studio dello yoga e di uno stile di vita più “umano”. La scrittura, invece, è rimasta costante della mia vita.
Scrivo da quando ho iniziato a dare senso compiuto alle parole, inizialmente per istinto e necessità e poi per passione, prediligendo in assoluto il gesto postumo di correggere per cento e più volte il testo battuto di getto sulla tastiera. Sono incuriosita da tutto ciò che è comunicazione (compreso il silenzio), quel ponte tra noi e il mondo ultimamente troppo sottovalutato.