Digitando “China” nella barra di ricerca di TikTok, il primo risultato suggerito è “China Manufactures”. Non è un caso. Da alcune settimane, l’algoritmo della piattaforma cinese sta promuovendo una nuova narrazione, in risposta ai recenti dazi imposti dall’amministrazione Trump. Centinaia di produttori cinesi hanno invaso il social con video che intendono “svelare” i segreti della supply chain del lusso, in quella che appare come una strategia coordinata per minare la credibilità dei brand occidentali.
Il fenomeno dei “rivelatori” cinesi
Il fenomeno è esploso all’indomani del “Liberation Day” proclamato da Donald Trump il 2 aprile scorso, quando l’amministrazione americana ha annunciato nuovi, pesanti dazi sui prodotti cinesi. La risposta non si è fatta attendere, ma è arrivata da un fronte inaspettato: non dai canali diplomatici ufficiali, ma da un esercito di creator TikTok.
@nj1niugdfkj China spilled all the beans on manufacturing products for the USA#fyp #news #breakingnews #china #trump #tariffs #foryou #update #new ♬ original sound – nj1niugdfkj
Account come @Njniugdfkj e @Bigfish7 mostrano quello che sostengono essere laboratori di produzione di articoli di alta moda. Nei loro video, artigiani cinesi assemblano meticolosamente borse che sembrano identiche alle iconiche “Kelly” di Hermès, “Lady Dior” di Dior o “2.55” di Chanel. Il messaggio è chiaro: “Queste borse di lusso che costano decine di migliaia di dollari? Le facciamo noi, qui in Cina, per una frazione del prezzo”.
In un video virale, un creator analizza i componenti di quella che afferma essere una “Birkin” di Hermès, elencando i presunti costi: “1.395 dollari di costi totali contro i 38.000 del prezzo in boutique”. Il post ha raccolto milioni di visualizzazioni e commenti indignati.
@bigfish7598Here’s a breakdown of the actual production cost of a Hermès bag. Luxury is a mindset. China is currently exposing all the European luxury brands with TikTok videos
La sottile linea tra realtà e disinformazione
Gli esperti del settore non hanno dubbi: i prodotti mostrati in questi video sono contraffazioni, seppur realizzate con notevole cura. Ma l’impatto comunicativo è devastante, perché molti utenti credono ciecamente a ciò che vedono. “Where can I contact this gentleman to make me a bag?” chiede Catherine nei commenti, mentre John54 sentenzia: “Everything is made in China, you just paying for brand”.
Luca Solca, analista di Bernstein, ha sintetizzato perfettamente il problema in un’intervista a Business of Fashion: “Dubito che queste affermazioni siano legittime. Tuttavia, potrebbero rappresentare un rischio reputazionale significativo”. In un momento già delicato per il settore del lusso, alle prese con una flessione dei consumi a livello globale, questa offensiva digitale è l’ultima cosa di cui i brand avevano bisogno.
L’ascesa dei commercianti cinesi su TikTok
Il fenomeno non è completamente nuovo. I commercianti cinesi hanno sempre dimostrato grande abilità nel promuoversi sui social media occidentali. Ricordiamo il trend delle ragazze che tornavano a casa dopo una giornata di lavoro mostrando appartamenti pieni di gadget innovativi: erano in realtà account che promuovevano quei prodotti, migrati dalla versione cinese di TikTok (Douyin) a quella occidentale.
O ancora, il popolarissimo Tony di LC Signs a Guangzhou, che con la sua imitazione di Trump (parrucca compresa) ha conquistato quasi due milioni di follower, ben oltre i clienti interessati alle sue insegne luminose.
Ma ciò che sta accadendo ora ha una portata diversa. Non è più solo marketing dei prodotti, ma una vera e propria guerra informativa che punta al cuore della percezione del lusso occidentale. Moltissimi account stanno “smascherando i segreti della supply chain globale”, come fa il signor Wang Sen, i cui profili vengono regolarmente sospesi ma che continua imperterrito a crearne di nuovi per “condividere le informazioni sconvenienti su come vengono prodotte le borse del lusso”.
@wangsen9998people support me not because of me, but because of my justice cause♬ 原创音乐 – Wang Sen
L’abbattimento delle barriere tra produttore e consumatore
TikTok sembra aver abbattuto le ultime barriere tra consumatore e produttore, mettendo sotto pressione il “middle-man”: il brand, il rivenditore, l’importatore. È un processo che i marchi del lusso non possono più ignorare, perché ne va della loro percezione e della loro capacità di controllare la narrativa che li riguarda.
@lunasourcingchina Name one thing that China CANNOT make! #chinasourcing #sourcingtips #sourcingagent #yiwuagent #yiwuminigoods #yiwumarkets #Lunasourcingchina #chinasource #brooksbrothers #shirt #shirtmanufacturer #premiumshirt #tommyhilfiger #hugoboss #lacoste🐊 #factory#chinashipping #wholesale #luxury #jewelryaccessories #alibaba #directfactory #chinasupplier ♬ original sound – LunaSourcingChina
La creator @lunasourcingchina dopo una graziosa piroetta proclama: “Non c’è niente che un’azienda cinese non possa fare”, mentre @rosiesouringchina consiglia di evitare Alibaba a favore di siti che eliminano gli intermediari. C’è persino chi, come @gonest-lily, spiega “come evitare le tariffe senza infrangere la legge”, suggerendo strategie di “personal shopping service” che aggirano i dazi.
@gonest_lily How We Bypass a 145% Tariff — Without Breaking the Law #Gonest #GonestChinaFreightForwarding #business #tariff #usa ♬ original sound – Lily-China Freight Forwarding
Una complessa realtà produttiva
La realtà, naturalmente, è molto più complessa. No, la maggior parte delle borse mostrate non sono originali. No, non è vero che tutto il Made in Italy sia prodotto in Cina, ma è innegabile che i due Paesi siano strettamente interconnessi. E la filiera globale non coinvolge solo Italia e Cina, ma anche Turchia, Bangladesh, Vietnam, India e molti altri paesi.
Rilanciare la manifattura americana non è un’operazione semplice, come dimostra il caso della factory texana di LVMH, un investimento celebrato da Trump nel 2019 che ancora non dà i risultati sperati. Come ha sottolineato Reuters in un recente articolo, la produzione di lusso richiede competenze specifiche che non si possono improvvisare.
Il futuro del lusso nell’era della trasparenza forzata
I problemi complessi della supply chain globale sono stati bruscamente portati alla luce dai dazi americani, ma è attraverso i video di questi intraprendenti commercianti cinesi che stanno entrando nella coscienza collettiva. Decisi a mostrare al mondo la loro forza produttiva e la loro reattività imprenditoriale, stanno cambiando la percezione del Made in China.
Nonostante la loro onnipresenza mediatica, i brand della moda non hanno mai avuto meno controllo sulla narrazione di sé stessi, come dimostra la diffusione del fenomeno del “dupe” (le imitazioni a basso costo di prodotti di lusso). I prezzi sempre più elevati hanno progressivamente alienato i consumatori aspirazionali, che dai marchi si sentono presi in giro.
Tutte quelle zone d’ombra della filiera sono ora sotto i riflettori, anzi nel tritacarne dell’algoritmo di TikTok che non lascia spazio alle sfumature, alle spiegazioni razionali, ai dettagli. La posta in gioco è alta, perché la reputazione del Made in Italy e del lusso europeo non ha prezzo. E mentre il settore cerca di difendersi da questa offensiva digitale, una domanda rimane: come racconteremo al mondo che siamo ancora quelli che producono le cose più belle, resistenti e lussuose? Forse dovremmo prendere lezione proprio dal signor Wang Sen e dai suoi colleghi.

Giornalista freelance, collaboro con diversi giornali e riviste per i seguenti settori: enogastronomia, hôtellerie, turismo, benessere e lifestyle. Quando è all’aeroporto si sente già in vacanza e quando intraprende un nuovo viaggio si entusiasma come fosse il primo. Il viaggio per lei è a 360° e attraversa non solo i Paesi, ma tocca la cucina, le persone, le albe e i tramonti. Adora uscire a cena e andare alla scoperta di nuovi locali. Quando si deve sedere in un ristorante o in qualunque altro luogo, non sceglierà mai un posto a caso, perché segue le regole del Feng Shui. Ha pubblicato due libri: “Emozioni” una raccolta di poesie e “Tutti i segreti del Tortello Cremasco – Non c’è la zucca!”. Dal 2010 ha aperto il blog www.isabellaradaelli.it.