L’8 settembre le sale italiane aprono le porte al thriller che per due settimane ha sbancato al botteghino americano, in testa al box office a stelle e strisce. Man in the dark, secondo lungometraggio di Fede Alvarez (regista lanciato dal più noto Sam Raimi) ci ha lasciato qualche perplessità.

Rocky, Money e Alex, ladruncoli di quartiere, decidono di fare il colpo ai danni di un veterano di guerra cieco, irrompendo nella dimora dell’ex soldato durante la notte. La bravata si rivela un incubo per i tre che porteranno a galla i macabri segreti nascosti nello scantinato.

Man in the dark, diciamolo da subito, non si avvicina neanche lontanamente a ciò che possiamo dichiarare un bel film. Non prova il salto e parte già disteso, appiattito, all’ingresso di quel dimenticatoio che di film come questi ne contiene fin troppi.

Il thriller di Alvarez non spaventa, non mette ansia, non fa trattenere il fiato. La convenzionalità della tecnica registica non gli concede neanche il salvataggio in corner. Per farla breve la visione di Man in the dark ha l’equivalenza del sedersi su una sedia per un’ora e venti, fissando il vuoto.

Colpi di scena su colpi di scena, l’uno più intuibile dell’altro. Una caterva di sequenze anticipate dal classico : “scommetto che ora gli compare alle spalle”, e purtroppo alla fine è proprio ciò che succede. E non vogliamo soffermarci sul come il vecchio e grosso cieco (un daredevil senza costume) riesca a liberarsi dalle manette o raggiunga chiunque in ogni dove, sorprendendo i poveri malcapitati alle spalle perfino.

Non è chiaro a questo punto fino a che punto Raimi (produttore della pellicola) sia in grado promuovere i progetti dell’amichetto spinto nel mondo del cinema, che tuttavia con “la casa” qualche risultato l’ha messo in tasca. Non stupisce più di tanto neanche il vedere questo titolo sulla cima del box office statunitense. Insomma, pur sempre d’un invincibile veterano di guerra parliamo!

Dio benedica l’America, ma ci tenga lontani dai film brutti.